Vladimir Putin inaugura il 7 maggio il suo quinto mandato al Cremlino, ventiquattro anni dopo la prima elezione, avvenuta nel 2000. Allora era stato designato alla successione da Boris Eltsin, il presidente che l’aveva nominato già primo ministro nel 1999. Putin aveva fatto il suo ingresso nel sistema di potere senza destare troppa attenzione, dopo l’esperienza a San Pietroburgo a fianco del sindaco Anatoly Sobchak: a Mosca era giunto entrando prima come vicecapo dell’Amministrazione presidenziale, poi direttore dell’FSB, i servizi segreti interni, e segretario del Consiglio di sicurezza, per ricoprire in seguito appunto la carica di premier.
Alla Casa Bianca, la sede del governo russo, sarebbe stato anche tra il 2008 e il 2012, quando il delfino Dmitry Medvedev avrebbe preso temporaneamente il comando al Cremlino, per restituirlo dopo la parentesi, allora quadriennale. Poi, infatti, la Costituzione russa è stata modificata, i tempi allungati, e ora il capo dello Stato rimane in carica sei anni. Putin, salvo imprevisti, lo sarà dunque sino al 2030. Almeno.
Le priorità del quinto mandato
Lo sviluppo della Russia negli ultimi cinque lustri sotto la guida di Vladimir Putin non deve essere visto sganciato dal contesto internazionale; al contrario le mosse del Cremlino, soprattutto sulla scacchiera mondiale e di riflesso su quella interna, sono da analizzare integrati nella cornice dei rapporti sia con l’Occidente, Stati Uniti ed Europa, che con gli altri paesi, dalla Cina agli altri emergenti tra l’Eurasia e il cosiddetto Grande Sud. Allo stesso modo, cercando di dare uno sguardo in avanti, è evidente come il futuro prossimo della Russia non sia legato solo al destino di un uomo solo, ma alla congiuntura interna ed esterna. Da questo punto di vista la guerra in corso in Ucraina è il principale elemento che condizionerà il corso del paese nei prossimi anni.
Da un lato la priorità di Putin è dunque quella di concludere l’operazione militare speciale con un risultato favorevole, che a grandi linee può sintetizzarsi con il mantenimento dei territori occupati dal 2014, dalla Crimea al Donbass, e il possibile allargamento del perimetro che comprenda le regioni già parzialmente sotto controllo russo, come Zaporizhizia e Kherson. Il raggiungimento di questi obbiettivi dipende da quanto gli Stati Uniti e gli alleati occidentali saranno disposti a sostenere l’Ucraina.
L’andamento del conflitto positivo per Mosca si rifletterà allo stesso modo internamente, stabilizzando il sistema ed evitando il rischio di crolli politici. Viceversa, un corso negativo esporrà il paese a rischi elevati. A livello economico la Russia di Putin sembra aver comunque trovato la quadra per evitare tracolli, superando l’isolamento occidentale, per cui è presumibile che la partnership con paesi non allineati con USA ed UE si intensifichi, consentendo a Mosca di rimanere a galla.
La stabilità del sistema
Nei primi due anni di guerra, dal febbraio 2022 sino all’estate del 2023 vi sono state molte speculazioni sulla tenuta della verticale del potere, ossia dell’architettura gerarchica che governa il paese in cima alla quale sta il presidente. Dai malumori interni sulla decisione di dare il via all’invasione dell’Ucraina alla rottura del cerchio magico putiniano, dalla ribellione degli oligarchi alla marcia su Mosca del capo della compagnia Wagner Evgeny Prigozhin, vi sono state previsioni catastrofiche, di un crollo totale del sistema, che puntualmente non si sono verificate, sostenendo invece le interpretazioni secondo cui Vladimir Putin, nonostante le apparenze, le valutazioni superficiali e i desiderata, è riuscito a mantenere un equilibrio tra i poteri forti e le varie correnti, che da sempre, non solo con l’inizio della guerra, si sono scontrate all’ombra del Cremlino.
Superato dunque lo spartiacque dell’avvio del conflitto e risolto il problema Prigozhin, il presidente affronta il prossimo mandato con l’obbiettivo di rafforzare ulteriormente la verticale, nell’ottica anche di quella che potrebbe essere l’operazione successione, ossia la prospettiva della Russia senza Putin. Il problema generazionale non interessa solo il capo dello Stato, ma la maggior parte di quelli che sono considerati i suoi fedelissimi, tutti sulla settantina, dal ministro della Difesa Sergei Shoigu, al capo del Consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev, da quello dell’FSB Alexander Bortnikov agli oligarchi come Yuri Kovalchuk o i fratelli Arkadi e Boris Rotenberg, solo per nominare alcuni degli storici magnati da sempre accanto al presidente. Alle loro spalle ci sono i sessantenni come il premier Mikahil Mishustin e il sindaco di Mosca Sergei Sobyanin e soprattutto Sergei Kirienko, potente vicecapo dell’Amministrazione presidenziale, vera fucina di potenziali candidati al dopo Putin, guidata dal giovane Anton Vaino, poco più che cinquantenne.
Le prospettive
È la generazione di Vaino quella dei quaranta-cinquantenni, che spinge di più e punta a sostituire l’élite al comando oggi: da Dimitry Patrushev, ministro dell’Agricoltura e figlio di Nikolai, a Maxim Oreshkin, advisor di Putin per le questioni economiche, passando per vari funzionari dell’Amministrazione ai governatori regionali. La sfida del quinto mandato putiniano si gioca anche sui gruppi che puntano a scalare il potere: la guerra in Ucraina e la repressione autoritaria hanno esposto i falchi e gli ultranazionalisti, mentre moderati e tecnocrati hanno continuato a mantenere un basso profilo.
Nei vari scenari ipotizzabili sul breve periodo, verso il giro di boa del prossimo decennio, quelli meno realistici sono quelli che prevedono il crollo del sistema e la disintegrazione del paese, insieme come quelli della presa del potere dell’ala radicale sciovinista, mentre più realistici appaiono quelli in cui il passaggio di consegne possa essere effettuato in maniera coordinata e condivisa internamente, sotto l’occhio di Vladimir Putin.
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Telegiornale 06.05.2024, 12:30