Gli spazi della democrazia in Russia si sono progressivamente ridotti. Le elezioni regionali e municipali tenutesi tra l’8 e il 10 settembre hanno decretato il dominio assoluto di Russia Unita, il partito che fa riferimento a Vladimir Putin. Vittoria netta e scontata sia nella Federazione russa che nei territori annessi lo scorso anno da Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina. Da una parte il voto ha così cementato l’attuale sistema di potere con l’esclusione dell’opposizione indipendente, dall’altro ha costituito la prova generale in vista di quello presidenziale in calendario la prossima primavera: il 17 marzo del 2024 si terranno infatti le elezioni per il capo dello Stato e al momento, senza imprevedibili colpi di scena, è verosimile che Putin succederà a se stesso. Da questo punto di vista la tornata elettorale appena conclusa è servita per anticipare la cornice di quello che accadrà fra sei mesi con la rielezione di Vladimir Vladimirovich, la quinta dal 2000 (2000, 2004, 2012, 2018), senza contare il sipario della presidenza di Dmitri Medvedev (2008-2012), in cui Putin ha coperto il ruolo di primo ministro.
La democrazia sovrana
Il concetto di democrazia sovrana, gestita quindi dall’alto, è ormai vecchio di una quindicina d’anni, inventato dall’allora consigliere del Cremlino Vladislav Surkov, che già si preoccupava dalla metà degli anni Duemila di creare un sistema democratico di facciata che rispondesse però in concreto agli ordini della leadership. Allora la Russia si stava preoccupando più di ritornare alla stabilità interna dopo il caos degli anni Novanta che del suo ruolo di potenza internazionale. Nel corso degli anni, tra elezioni presidenziali e amministrative, il sistema ha stretto sempre più le maglie, facendo della democrazia russa, o almeno di quella che veniva definita tale, visto che la transizione postcomunista sotto il primo presidente Boris Yelstin (1991-2000) non ha mai partorito una democrazia compiuta, una costruzione ibrida: una democratura, con poca democrazia appunto e più dittatura.
L’opposizione sistemica
Fondamentale in questo sviluppo la divisione tra opposizione reale e sistemica, quella dei partiti che alla Duma e nei parlamenti regionali e locali si presentano come alternativi a Russia unita, ma in realtà costituiscono la facciata democratica: dal Partito liberaldemocratico a quello Comunista, dai socialdemocratici di Russia Giusta a Nuova gente, ultima formazione scaturita dalle idee degli spin doctors del Cremlino. L’opposizione reale, extraparlamentare, è fatta oggi di pochi candidati indipendenti e movimenti che faticano a trovare spazio politico e mediatico, soprattutto dopo l’ulteriore giro di vite dato dal Cremlino con l’inizio dell’invasione russa in Ucraina nel 2022. Da queste punto di vista le elezioni regionali e locali di settembre hanno confermato la tendenza, basti pensare che Sergey Sobianin, sindaco di Mosca e fedele alleato di Putin è stato rieletto con oltre il 75% dei voti, lasciando poche briciole agli avversari.
Nella città occupata di Mariupol, nel Donetsk
Il futuro di Putin
Già la prima crisi ucraina del 2013/2014, sfociata nel cambio di regime a Kiev, nell’annessione della Crimea e nell’avvio della guerra nel Donbass, aveva condotto a Mosca a un’accentuazione del profilo autoritario e della verticale del potere che vede ancora in cima Putin. L’autoritarismo interno è andato di pari passo con l’aggressività esterna, questa anche in risposta ai movimenti degli altri attori sulla scacchiera internazionale, e il soffocamento della già fragile democrazia è stato progressivo, ma inesorabile. Resta da vedere quale sarà il prossimo futuro, che pare ancora legato al destino dell’attuale presidente; i giochi per il Cremlino non sono ancora fatti e in sei mesi, anche sul terreno della guerra in Ucraina, possono accadere molte cose; quello che è certo è che i passaggi di potere in Russia non avvengono in maniera democratica, almeno per come viene inteso in Occidente. Non lo è stato ai tempi di Yeltsin e non lo sarà nel 2024 con Putin o il suo successore, che verrà eventualmente scelto dietro le quinte e confermato nell’ormai consueto solito plebiscito pseudo-democratico.