Poco prima dell’attentato a Donald Trump di sabato, gli agenti del Servizio segreto erano stati avvisati della presenza di un uomo armato su un tetto vicino al luogo del comizio, ma non sono riusciti a prevenire l’attacco.
Negli USA sta montando la polemica contro l’agenzia federale, che ha il compito di garantire la sicurezza del presidente USA, del vicepresidente, degli ex presidenti, dei candidati alla presidenza, delle rispettive famiglie, di edifici sensibili come la Casa Bianca e le ambasciate straniere a Washington e anche dei dignitari stranieri in visita negli USA.
Secondo Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera e specialista di intelligence e sicurezza, è evidente che il dispositivo di protezione abbia fallito, per il semplice fatto che l’attacco è riuscito e Trump è rimasto ferito. Ma c’è un secondo fallimento: “è mancata la prevenzione. L’attentatore è riuscito a infiltrarsi in un’area abbastanza semplice da sorvegliare”.
Il Servizio segreto, nonostante il nome, non è una agenzia di intelligence. È composto da circa 7’000 agenti che devono coordinarsi con le polizie locali per il loro lavoro. “Gli agenti creano una serie di cerchi di sicurezza: uno esterno per tutto il perimetro dell’evento, un secondo più stretto, impiegando corpi scelti e agenti in borghese; poi ci sono le classiche guardie del corpo. Inoltre, apparati elettronici speciali creano una ulteriore bolla di sicurezza”, spiega Olimpio. Il sistema può però essere messo in crisi quando la persona da proteggere partecipa a eventi in presenza di grandi folle.
Negli ultimi anni, il servizio ha affrontato problemi di addestramento e di personale. Olimpio ricorda che “ci sono state storie di intrusi alla Casa Bianca e comportamenti inadeguati da parte degli agenti. Questi problemi certamente creano delle possibili criticità”.