Aveva soltanto 18 mesi la più giovane delle 26 vittime del massacro della chiesa battista a Sutherland Springs, piccolissima comunità del Texas sprofondata nel dolore dopo che un 26enne ex militare, Devin Kelley, ha aperto il fuoco durante la messa della domenica.
Un gesto assurdo e incomprensibile alla base del quale pare vi fossero diverbi familiari: il killer aveva litigato con la suocera, era arrabbiato, le aveva inviato un sms minaccioso la mattina stessa della strage. La donna non era in chiesa ma tra i morti, è emerso in serata, c'è la madre della suocera, una donna di 71 anni.
Gli inquirenti non hanno considerato l'ipotesi terrorismo, né ritengono che il motivo sia razziale o religioso. Kelley aveva servito nell'Air Force americana, ma nel 2012 era stato deferito alla corte marziale e congedato due anni dopo per cattiva condotta. L'accusa era di maltrattamenti verso la moglie e il figlio. Episodio che potrebbe essere all'origine del rifiuto di riconoscergli il porto d'armi.
La chiesa teatro della sparatoria
L’inchiesta dovrà però chiarire l’ultimo tassello: cosa ha portato il giovane ad armarsi fino ai denti, pur senza licenza, e a compiere la strage?
Secondo il presidente Donald Trump "è il gesto di uno squilibrato" e la diffusione delle armi non c'entra. Insorge tuttavia una consistente fetta del paese che denuncia ancora una volta la necessità di maggiori controlli su pistole e fucili.
"Il male è male. Si uccide anche con camioncini, non solo con le pistole", ha detto invece il senatore repubblicano del Texas ed ex candidato alle presidenziali, l’ultraconservatore Ted Cruz, in reazione alla strage. E in merito alla polemica sul controllo delle armi, Cruz ha aggiunto che non è questo il momento di politicizzare la questione.
ATS/ludoC