Un lavoratore non può essere licenziato perché è gay o transgender: lo ha sentenziato oggi, lunedì, la Corte Suprema degli Stati Uniti, secondo cui il titolo VII della legge sui diritti civili del 1964, che vieta le discriminazioni nei luoghi di lavoro in base al sesso - ma anche alla razza, al colore, alle origini nazionali e alla religione - si applica pure a omosessuali e trans. La battaglia legale si concentrava sulla definizione di sesso e i giudici hanno dato un'interpretazione estensiva che riguarda l'orientamento sessuale e l'identità di genere.
È la più grande vittoria per la comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) da quando nel 2015 la Corte Suprema legalizzò le nozze gay. Successo che arriva mentre il Paese continua a scendere in piazza per altri diritti civili, quelli riguardanti la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd e di altri afroamericani per mano della polizia.
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La decisione è stata presa da una maggioranza di sei giudici contro tre, con il presidente della Corte John Roberts e il giudice conservatore Neil Gorsuch - nominato da Trump - che hanno votato con i giudici di nomina democratica. Ed è stato lo stesso Gorsuch a scrivere che "la nostra è una società di leggi scritte. Un datore di lavoro che licenzia un individuo puramente per essere gay o transgender sfida la legge".
La sentenza è importante anche perché nella maggioranza del Paese, ossia in 28 Stati su 50, non ci sono protezioni esplicite nei luoghi di lavoro, lasciando quindi gay e trans esposti al rischio di essere perseguitati o licenziati senza possibilità di fare ricorso. La decisione è stata presa affrontando tre casi di gay licenziati per il loro orientamento sessuale, in Georgia, in Michigan e a New York.
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