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"Un nuovo modello jihadista"

Quali scenari si aprono dopo le pesanti sconfitte inflitte allo Stato islamico? L'intervista al professor Gilles Kepel

  • 30 dicembre 2017, 14:17
  • Oggi, 03:06
Pesantissime sconfitte durante il 2017

Pesantissime sconfitte durante il 2017

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Tra i fatti più salienti della cronaca internazionale nel 2017, vi è la fine dell'autoproclamato califfato di Raqqa, simbolo del potere del sedicente Stato islamico. La caduta della città siriana, come anche l'annuncio giunto dal vicino Iraq, della sconfitta dell'Isis sul territorio iracheno, producono ripercussioni anche in Occidente. Che cosa significa questa pesante sconfitta per l'Europa, quali scenari si aprono? Domande che abbiamo rivolto a Gilles Kepel, noto esperto di islam e del fenomeno jihadista, professore a Science Po a Parigi e all'Università della Svizzera italiana.

"La scomparsa del Califfato islamico e del suo territorio è molto importante, perché il coordinamento di tutti gli attentati avvenuti in Europa a partire dal 2014 è stato fatto da Raqqa. Jihadisti europei, partiti verso la Siria, sono stati le menti e gli organizzatori degli attacchi. Hanno messo in contatto attraverso socialnetwork come Telegram e Whatsapp, gli uomini che poi hanno agito."

"E se penso agli episodi più gravi - al Bataclan, ai bar parigini e ai kamikaze allo Stade de France - questi sono stati compiuti da jihadisti francesi, belgi, e da qualche siriano e iracheno, partiti da Raqqa e giunti in Francia e Belgio via la Turchia. Questa situazione, oggi, non potrebbe più realizzarsi perché non esiste più quel territorio con la struttura terroristica statale messa in piedi dallo Stato islamico (IS). C'è una concentrazione di terroristi a Idlib in Siria, alla frontiera turca, ma sono in conflitto tra di loro e non hanno la capacità per realizzare attacchi così spettacolari. Ed è difficile per loro andare direttamente in Europa. Molti preferiscono andare in Libia o in Tunisia, e poi da lì in Europa."

Gilles Kepel

Gilles Kepel

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Non c'è più la struttura statale del gruppo, ma cosa dire del messaggio dell'organizzazione terroristica: anche quello è cambiato?

"Sicuramente la sua scomparsa cambia i termini del racconto, della narrativa jihadista, in quanto il califfato permetteva di unire la narrazione del ritorno all'epoca del profeta, la creazione di uno Stato salafita puro, con la realtà sul terreno. Ora questo non è più possibile. Inoltre bisogna anche saper gestire la sconfitta, bisogna spiegare perchè i jihadisti inviati da Allah sono stati sconfitti. Attualmente se osserviamo gli scambi su internet tra sostenitori del jihad, i toni sono meno ottimisti rispetto a un anno fa. Allora si leggevano proclami al jihad, si inneggiava allo Stato islamico che entro breve avrebbe conquistato l'Europa e le donne e i bambini cristiani sarebbero stati venduti al mercato degli schiavi dell'IS. Ora nessuno può permettersi di scrivere frasi come queste. Tuttavia, c'è tutta una letteratura di contrizione, di pentimento - "Allah ci ha puniti perché non siamo stati abbastanza credenti e forti" - e c'è una ricerca di un nuovo modello jihadista."

Negli appelli lanciati sul web, abbiamo visto inviti a colpire con coltelli, con una vettura lanciata sulla folla: si cerca di sviluppare una sorta di terrorismo low cost.

"Sì, ma il terrorismo low cost ha dei limiti. Certo si producono vittime, ma il terrorismo salafita jihadista deve fare in conti con una politica economica interna. Se non è in grado di mobilitare le masse musulmane perde efficacia. E nel corso degli anni, sulla base delle proprie sconfitte, il modello politico del jihad si è trasformato. Dal terrorismo algerino - fallito - si è passati a Bin Laden e al suo obiettivo di colpire l'America -fallito pure questo. Poi è arrivato il jihadismo di terza generazione che mirava ad operare sotto traccia e a mettere in contatto attentatori dalle banlieu europee a Raqqa. Ora anche questo tentativo è fallito e il movimento cerca una nuova strategia. Bisogna anche dire che c'è stata una risposta delle autorità dei paesi europei: i servizi di intelligence sono stati rafforzati, certi segnali vengono colti più rapidamente. La grande forza dell'Isis è stata all'inizio l'ignoranza: per diverso tempo il jihadismo è stato un oggetto sconosciuto al mondo politico, era studiato solo nelle università: ora le cose vanno meglio."

Raqqa: caduta la roccaforte dell'IS

Raqqa: caduta la roccaforte dell'IS

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Dunque, i paesi europei hanno sottovalutato alcuni segnali, non sono stati in grado di intuire l'avvento del terrorismo targato Stato islamico...

"Per esempio in Francia, le istituzioni non hanno capito l'affaire "Merah". Nel marzo 2012 due militari di origini magrebine sono stati uccisi così come dei bambini ebrei per mano di Mohammed Merah. Era un evidente segnale d'allarme che non è stato compreso. Merah era un lupo solitario secondo le autorità, che non hanno analizzato quanto accaduto. Non si è andati a fondo di quanto era un'anticipazione dell'attentato a Charlie Hebdo e dei seguenti attacchi. Ora effettivamente le autorità e i servizi di sicurezza sono più efficaci: c'è una miglior conoscenza del fenomeno e l'effetto sorpresa di certe azioni violente è limitato. In Europa più gli stati sono forti e centralizzati, più diventa difficile agire per i jihadisti."

Lei recentemente ha studiato il fenomeno della radicalizzazione nelle carceri francesi. Quale differenza vede rispetto al medesimo fenomeno attuato in una moschea o sul web?

"Le carceri sono il traslato di quanto accade nei quartieri popolari. Le prigioni in Europa sono piene di giovani immigrati che non riescono a trovar lavoro e si danno alla criminalità, compiendo reati di vario tipo, come lo spaccio di droga o le rapine. Quando un jihadista finisce in carcere si dà al proselitismo, la prima cosa che dice a un giovane delinquente è che non è colpa sua se si trova in questa situazione: è tutta colpa della società occidentale, dei miscredenti che non lo accettano. Invece di rubare o spacciare, gli viene detto di incanalare la sua rabbia nel jihad. Tra il 2005 e il 2015, le prigioni sono state delle enormi incubatrici di jihadisti. Oggi le amministrazioni carcerarie cercano soluzioni, ma non è facile: se si raggruppano tutti i radicalizzati si crea un contro-potere, se si decide di distribuirli, questi si danno al proselitismo."

Decine, forse centinaia i portali salafiti gestiti da una regia ben organizzata

Decine, forse centinaia i portali salafiti gestiti da una regia ben organizzata

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In Francia, c'è chi accusa le comunità musulmane di tenere un discorso ambiguo: si condanna il terrorismo, ma non, o non in modo sufficiente, l'ideologia salafita. Professor Kepel, qual è la sua opinione?

"Quel che sorprende è che la maggioranza dei nostri compatrioti di cultura e di origini musulmane, vive in Francia come ogni normale cittadino. Ma coloro che che si rivendicano in modo esplicito di fede musulmana, che aderiscono alla fede come a un partito politico, in fondo non sono ancora riusciti a staccarsi dalle regole salafite. E su questo punto, si deve guardare al medioriente dove molte cose importanti stanno accadendo. In Arabia Saudita, la patria e paese esportare del salafismo, l'attuale principe ereditario Mohamed Ben Salman sta cambiando il sistema cercando di allontanare i religiosi. Funzionerà? Non glielo so dire. Ma credo che sia sincero nelle sue mosse, anche perché il salafismo storicamente è stato collegato alle rendite petrolifere e al sistema saudita. Ora il petrolio strutturalmente è destinato a perdere importanza e a questo punto il salafismo diventa politicamente inutile e addirittura controproducente. Certo, staremo a vedere cosa succederà, ma siamo all'inizio di trasformazioni molto importanti."

Chiara Savi

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