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"Jihadismo, minaccia in Svizzera”

Intervista all’esperto di terrorismo Jean-Paul Rouiller: "Un attentato è possibile. Anche in Ticino è presente l'Islam radicale"

  • 9 ottobre 2017, 07:59
  • Oggi, 04:03
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Jean-Paul Rouiller: la minaccia jihadista in Svizzera è concreta

RSI/Ludovico Camposampiero 09.10.2017, 08:00

“La Svizzera non è al riparo dagli attentati”. Non ha dubbi Jean-Paul Rouiller. Anni di lavoro sul campo e ora a capo di un gruppo di analisi del terrorismo in seno al Centro per le politiche di sicurezza di Ginevra (GCSP), l’ex agente dei servizi di informazione svizzeri è certo che il terrorismo di matrice islamica rappresenti un rischio anche per la Confederazione. E che pure il Ticino giochi un ruolo nel panorama jihadista rossocrociato.

Signor Rouiller, l’ideologia jihadista rappresenta un pericolo anche in Svizzera?

“Sì, è evidente. La crescita di questa ideologia è un processo in atto da una decina d’anni, anche se finora non siamo riusciti a stabilirne l’ampiezza. Anche i fatti di cronaca dimostrano che le varie reti di reclutatori hanno ramificazione nel nostro paese e che i legami con vari movimenti islamisti sono solidi. La recente condanna del 32enne di Lugano per proselitismo a favore di al Nusra ne è la prova. In Svizzera, vi sono molti precedenti legati al radicalismo islamico: persone colluse con al Qaida sono arrivate già negli anni Novanta e all’inizio degli anni Duemila vi sono stati i primi foreign fighters elvetici, partiti per l’Iraq e l’Afghanistan. Si tratta però di gente che è arrivata qui in età adulta. Oggi, invece, la radicalizzazione interessa soprattutto giovani nati o cresciuti qui, con forti legami con la Confederazione e che consideriamo integrati. Non si tratta più di jihadismo importato."

Si tratta dunque di una minaccia interna alla Confederazione?

"Certamente. Partiamo dai dati: i servizi di informazione stimano che circa una novantina di persone sono partite dalla Svizzera verso le zone dove si combatte il jihad. Al netto dei morti in battaglia, rimangono diverse decine di persone che dispongono ora di conoscenze, di istruzione al combattimento, e soprattutto di contatti e connessione che valicano i confini nazionali. Persone che quando decideranno partire dal Medio Oriente, non faranno ritorno nei rispettivi paesi d’origine, ma in Svizzera, in quella che considerano “casa” e dove troveranno appoggio. Per ogni foreign fighter, infatti, si contano tra 5 e 10 fiancheggiatori nel paese di origine. Persone pronte ad aiutare chi parte o rientra in diversi modi: prestando soldi o garantendo un appoggio logistico, per esempio. Tirando le somme: questo significa che in Svizzera ci sono tra le 600 e le 1'000 persone pronte ad aiutare coloro che torneranno nella Confederazione dopo aver imbracciato il fucile in Siria, Iraq o altri paesi."

Il rischio di un attentato è concreto?

"Sì. Attacchi complessi come quelli di Parigi e Bruxelles presuppongono non soltanto una regia esterna, ma anche conoscenze ed un supporto che in Svizzera ancora non ci sono. Per compiere un attentato, tuttavia, ormai basta salire su un’auto e lanciarsi contro la folla, un gesto che potrebbe avvenire anche in Svizzera, da parte di qualcuno tornato dalle zone di guerra ma anche da chi non ha mai lasciato il paese."

Si riferisce ai lupi solitari?

"No, io non credo ai lupi solitari. È vero che i gruppi che passano all’azione sono sempre più piccoli per ridurre le possibilità che uno degli anelli venga intercettato, ma nessuno si sveglia dall’oggi al domani decidendo di compiere un attentato. Facciamo però finta che lei sia un giovane che si interessa all’Islam: le basterà navigare in Internet e troverà decine di portali salafiti. Non si tratta di siti jihadisti ma di pagine che propongono una visione ultraortodossa della religione, con magari anche i contatti a moschee o centri culturali in Svizzera. Questo influenzerà radicalmente il suo approccio. È il primo gradino della radicalizzazione. Nelle città più grandi, inoltre, è possibile incontrare foreign fighters rimpatriati. Persone che probabilmente non le diranno di compiere un attentato ma delle quali subirà l’influenza."

E il passo successivo?

“Mettersi a chattare su Telegram, dove lo Stato islamico diffonde i suoi messaggi di propaganda ed entrare a far parte di una comunità, di un gruppo di persone che condivide determinate idee. Alla fine di questo processo, che può durare anche a lungo, potreste decidere di passare all’azione. Lo Stato islamico, più di altri, ruota attorno a questa idea di comunità. E questo substrato ha messo radici anche in Svizzera."

Quali sono le regioni più a rischio?

“La minaccia è trasversale. Fino a qualche anno fa la lingua creava delle barriere, mentre oggi ci sono contatti e collaborazione tra persone di cantoni diversi. Ci sono tuttavia due zone calde per quanto riguarda l’Islam radicale: Zurigo e il bacino lemanico. Poi ci sono focolai jihadisti di dimensione più modesta, come Basilea e Bienne."

E il Ticino?

"L’islam radicale è presente da tempo, soprattutto a Lugano, ma manca la massa critica di persone. Preoccupa tuttavia la vicinanza al Nord Italia. Finora l'estremismo islamico in Ticino si è situato nella sfera di influenza dei gruppi attivi nella vicina penisola, ma esiste il rischio che anche a sud delle Alpi si formi un nucleo di estremisti che, pur mantenendo i contatti, potrebbe emanciparsi dalla Lombardia e tessere invece legami con Zurigo, Ginevra e Losanna. Se questo dovesse accadere, si creerebbe una sorta di triangolo jihadista molto pericoloso. Oggi, tuttavia, il legame con gli altri focolai elvetici è tenue."


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Jihadismo? Problema anche in Ticino

RSI/Ludovico Camposampiero 09.10.2017, 08:00

Lei ha parlato di salafismo: ritiene che sia la porta di accesso al terrorismo di matrice islamica?

"Assolutamente. Già negli anni Novanta, molti giovani che si unirono ad al Qaida provenivano dal movimento Jamaat Tabligh, che predicava un Islam rigorista, definito “autentico”. La storia si ripete. I movimenti salafiti si proclamano estranei al terrorismo, al jihad, ma il fondamentalismo islamico è come un muro: non si può dare la colpa di qualcosa ad un singolo mattone, ma basta fare un passo indietro per vedere il processo di radicalizzazione nel suo insieme. Ecco, i movimenti salafiti, che per esempio distribuiscono Corani per strada, si situano nei crocevia strategici di questo processo. Non sono loro a suggerire di partire per il Medio Oriente o di compiere un attacco, ma danno all’intero processo la giusta propulsione."

La Svizzera dispone degli strumenti adeguati per far fronte alla minaccia jihadista?

"La conoscenza di questi fenomeni e sufficientemente approfondita per poterli contrastare e anche gli strumenti giuridici a disposizione dei servizi di informazione sono adeguati. Mancano tuttavia leggi adeguate contro il terrorismo e c’è carenza di capitale umano: polizia e servizi segreti non hanno abbastanza personale."

Ludovico Camposampiero

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