Gli Stati Uniti potrebbero limitare a distanza l’impiego o persino tenere a terra la flotta di F-35 in dotazione ai paesi alleati. E potrebbero farlo semplicemente premendo un pulsante (un cosiddetto “kill switch”). È l’ipotesi di recente avanzata da Christophe Gomart, ex capo dell’intelligence militare francese e oggi eurodeputato del Partito Popolare Europeo.
Se ne parla ora in un contesto geopolitico caratterizzato anche da una crisi nei rapporti tra Stati Uniti (produttori e fornitori dell’aereo da combattimento) e l’Europa (dove non meno di tredici Paesi, tra cui anche la Svizzera, hanno optato per il velivolo).
In un’intervista rilasciata lo scorso febbraio ai media francesi, Gomart ha spiegato che “se gli Stati Uniti attaccassero la Groenlandia, nessun Paese europeo sarebbe in grado di far decollare i propri F-35 per difenderla, perché i velivoli dispongono di un sistema di blocco che può essere attivato se il piano di volo non è approvato dal Pentagono”.
Mito o realtà? L’esistenza di un pulsante che permette di tenere a terra la flotta viene messa in dubbio dai principali analisti, come sottolinea Mauro Gilli, esperto di strategia militare al Politecnico federale di Zurigo, citando in particolare Justin Bronk, professore e ricercatore al RUSI di Londra. “Tuttavia, tutti i sistemi d’arma - aggiunge - dipendono da una serie di tecnologie e software di cui gli Stati Uniti hanno il controllo”. E a proposito di software: basta considerare che quello utilizzato dall’F-35 è formato da un condice di oltre otto milioni di linee.
Mauro Gilli
Non è solo una questione di aerei
La dipendenza tecnologico non riguarda dunque soltanto gli F-35 ma anche altri armamenti e i sistemi di comunicazione. Ed è proprio su questi ultimi che si sofferma Gilli: “La guerra di precisione si basa sulla capacità di avvistare degli obiettivi e comunicare in tempo reale la loro geolocalizzazione a delle piattaforme che effettuano l’attacco”. Si tratta di un’architettura che ai Paesi europei viene fornita prevalentemente dagli Stati Uniti. “Questo è un problema”.
Una situazione, questa, in cui risulta difficile diventare indipendenti. Anche se un Paese decidesse di rinunciare, per esempio, agli aerei da combattimento F-35, altri elementi resterebbero comunque in mani statunitensi. “Per fare un’analogia: sarebbe come dire che smettiamo di usare gli iPhone, continuando però a usare antenne 5G americane” sottolinea l’esperto del Politecnico federale di Zurigo.
Un F-35 all'aerodromo militare di Emmen
La dipendenza USA: un rischio per la sicurezza?
Armamenti che fanno capo a tecnologie e software statunitensi: è un rischio per la sicurezza? Dipende, secondo Gilli, che parla di visione politica. Se si ritiene che la Russia rappresenti una minaccia seria per l’Europa e che allora siano necessari determinati sistemi d’arma come caccia di quinta generazione, allora si tratta di un rischio. “Attualmente l’Europa non ha alternative: se i Paesi europei dovessero decidere di sviluppare un velivolo di sesta generazione, ci vorranno quindici anni perché possa essere pronto. Ed è un calcolo molto ottimistico”.
Se la minaccia russa non è invece considerata come imminente e si ritiene che i Paesi europei debbano svincolarsi dalla dipendenza americana, “allora è più che legittimo pensare di indirizzarsi in questa direzione”. Ma ogni scelta, sottolinea Gilli, “comporta rischi e costi”.
“Nessuna alternativa”
La Svizzera ha acquistato 36 esemplari di F-35 per un importo totale di circa sei miliardi di franchi. Gli aerei saranno consegnati tra il 2027 e il 2030, e sostituiranno l’attuale flotta di F/A-18 Hornet e F-5 Tiger.
L’aereo da combattimento F-35
L’F-35 è un aereo da combattimento di quinta (e attualmente ultima) generazione prodotto dalla statunitense Lockheed Martin Aerospace. Si tratta di un velivolo monoposto in grado di raggiungere una velocità massima di 1,7 mach (poco più di 2’000 chilometri orari).
Il caccia dispone di sensori completamente interconnessi, che visualizzano chiaramente le loro informazioni nella cabina di pilotaggio. Ed è concepito in modo tale che è difficile rilevarlo e combatterlo.
Il contratto per la fornitura è stato firmato nel 2022, ma la Confederazione potrebbe ancora tirarsi indietro, come reso noto negli scorsi giorni dal Consiglio federale. Fino alla consegna dei caccia, la Svizzera può infatti disdire il contratto in qualsiasi momento, si legge in una risposta a una domanda posta dalla deputata socialista Sarah Wyss. “Non è prevista una penale contrattuale. La Svizzera dovrebbe tuttavia sostenere tutti i costi derivanti da una cancellazione, costi che non è possibile stimare”.
Ma avrebbe senso, nell’attuale contesto, rinunciare all’acquisto? “Il problema principale è che non esiste un’alternativa simile. E gli unici Paesi che producono caccia di quinta generazione sono Stati Uniti e Cina” afferma Gilli. “Se la Svizzera cancellasse il programma, per ottenere in tempi rapidi degli aerei da combattimento dovrebbe acquistare dei jet non di quinta ma di quarta generazione”.
Il sistema di difesa antiaerea statunitense Patriot
E accontentandosi della quarta generazione, la Confederazione si troverebbe in possesso di velivoli che non sarebbero in grado di contrastare forze nemiche all’avanguardia. Lo mostra il conflitto in Ucraina, dove le forze aeree russe (che volano con jet di quarta generazione) non riescono a imporsi nello spazio aereo ucraino, dove vengono contrastate con sistemi di difesa antiaerea in parte obsoleti. “Il motivo? Questi sistemi sono estremamente letali, anche contro caccia come quelli impiegati dalla Russia”. I jet meno moderni non sono dunque utilizzabili all’interno di uno spazio aereo conteso in cui sono attivi sistemi di difesa antiaerea.
Peter Merz: “Una rinuncia agli F-35 non avrebbe senso”
“Sul mercato c’è soltanto un aereo da combattimento occidentale che supera di gran lunga e sotto ogni aspetto tutti gli altri e che ha un potenziale per i prossimi trent’anni, si tratta dell’F-35”. È con queste parole pubblicate su LinkedIn che nel fine settimana anche il divisionario Peter Merz, comandante uscente delle Forze aeree elvetiche, ha preso posizione nel dibattito sul caccia scelto dalla Svizzera. E ha aggiunto: “Va ancora dimostrato che l’Europa riesca a costruire un velivolo di quinta o addirittura sesta generazione”.
Una rinuncia al programma per l’acquisto degli F-35 non avrebbe alcun senso, sempre secondo Merz. “D’ora in poi smetterete di aggiornare i vostri iPhone o i prodotti Microsoft perché i malvagi Stati Uniti potrebbero metterci dentro qualcosa? Non navigherete più col GPS del vostro cellulare o della vostra auto perché non vi fidate più?” E sottolinea: “Se in Europa c’è qualcosa che può fare da contrappeso a un grande aggressore orientale, allora si tratta degli oltre ottocento F-35 che in futuro saranno stazionati in Europa””.
Peter Merz, comandante delle Forze aeree elvetiche fino alla fine di settembre 2025
Gli F/A-18 all’aeroporto di Berna
Ci sarà presto molto movimento militare all’aeroporto civile di Berna-Belp: dal 31 marzo al 2 aprile 2025 l’esercito svolgerà infatti un servizio di volo militare, in cui gli aerei da combattimento F/A-18 atterreranno e decolleranno allo scalo bernese.
L’allentamento è volto a verificare la capacità dell’esercito svizzero di impiegare i suoi velivoli anche a partire da ubicazioni civili, come si legge in una nota diffusa martedì dalle Forze aeree. “Attualmente i mezzi delle Forze aeree sono concentrati nei tre aerodromi militari di Payerne, Meiringen ed Emmen, cosa che li rende vulnerabili ai sistemi d’arma avversari a lunga gittata”. In modo da ridurre questo rischio, si punta allora “sulla decentralizzazione passiva”, con la distrhibuzione della truppa e del materiale in tutto il paese.
L’ultimo addestramento alla decentralizzazione ha avuto luogo lo scorso giungo sull’autostrada A1, nei pressi di Payerne, nell’ambito dell’esercizio “Alpha Uno”.
Gli F/A-18 atterrano sull’A1
RSI Info 05.06.2024, 11:40
In calo l’export di materiale bellico dalla Svizzera
Nel 2024 le imprese svizzere hanno esportato materiale bellico con l’autorizzazione della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) in sessanta paesi, per un totale di 664,7 milioni di franchi, facendo registrare una diminuzione di quasi il 5% rispetto all’anno precedente.
I cinque maggiori acquirenti sono stati la Germania, che ha ricevuto materiale per un valore di 203,8 milioni di franchi, seguita da Stati Uniti (76,1 milioni), Italia (50,6 milioni), Svezia (42 milioni) e Romania (38,5 milioni).

Esportazioni di armi svizzere ancora in calo
Telegiornale 11.03.2025, 12:30

Evoluzione delle spese in armamenti a livello internazionale
SEIDISERA 10.03.2025, 18:00
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Pioggia di droni su Mosca
Telegiornale 11.03.2025, 12:30