Il nuovo scandalo finanziario che rischia di travolgere il Vaticano passa anche da Credit Suisse. Le carte citate dall’inchiesta del settimanale l’Espresso riguarderebbero l’acquisto di un immobile a Londra, finanziato da un fondo destinato a opere caritative gestito in massima parte da filiali svizzere e italiane del colosso bancario. Un affare da 200 milioni di dollari per un palazzo da 17'000 metri quadrati.
I promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi ritengono infatti di aver individuato - scrive il giornale - "gravi indizi di peculato, truffa, abuso d'ufficio, riciclaggio e autoriciclaggio" in merito a comportamenti di ecclesiastici e raider d'assalto, mentre in un'altra relazione il revisore Alessandro Cassinis ipotizza "gravissimi reati quali l'appropriazione indebita, la corruzione e il favoreggiamento".
I business finiti nella lente degli investigatori riguardano acquisizioni effettuate all'epoca in cui era sostituto alla Segreteria di Stato il card. Angelo Becciu. Nell'inchiesta vengono citati finanzieri e uomini d'affari come Gianluigi Torzi, le mosse di prelati come don Carlino e monsignor Alberto Perlasca.
Il settimanale evidenzia anche come la Segreteria di Stato possieda e gestisca dei fondi extrabilancio per 650 milioni di euro, "derivanti in massima parte dalle donazioni ricevute dal Santo Padre per opere di carità e per il sostentamento della Curia Romana", ovvero l'Obolo di San Pietro.
È stato anche utilizzato in investimenti gestiti in gran parte da Credit Suisse e che secondo l'Ufficio del revisore generale presentano "vistose irregolarità", oltre ad aprire "scenari inquietanti". L'inchiesta racconta infine la genesi dell'operazione Falcon Oil, un tentato investimento da 250 milioni di dollari del Vaticano in una piattaforma petrolifera davanti alle coste dell'Angola.