“Il fatto che le api non se la passino molto bene deve preoccuparci. E deve preoccupare tutti, non solo gli apicoltori, perché le api sono considerate, da molti anni ormai, eccellenti bio-indicatrici dell’ambiente. Dunque, se le api stanno male dobbiamo preoccuparci”. Così Davide Conconi, presidente della federazione ticinese apicoltori (FTA), commenta ai microfoni della RSI le dichiarazioni di Peter Neumann, professore all’Istituto sulla salute delle api presso la facoltà dell’Università di Berna.
Questi insetti sono spesso infettati dall’acaro parassita varroa, afferma il professore in un’intervista pubblicata venerdì dalle testate CH Media. “Le colonie sono al momento talmente deboli che anche altri virus (i quali non hanno nulla a che vedere con l’acaro - e che normalmente non costituiscono un rischio - ) ora rappresentano un pericolo”. Le colonie di api in Svizzera sono affette da malattie croniche e rischiano addirittura di scomparire se gli apicoltori non reagiranno in tempo, spiega Neumann. L’esperto chiede inoltre di porre fine all’uso di insetticidi e pesticidi. “Ci sono dati spaventosi su questo argomento. Mi meraviglio addirittura che ci siano ancora insetti”.
Presidente Conconi, come stanno le api della Svizzera italiana?
“È difficile generalizzare quando si parla di api, perché spesso abbiamo di fronte fenomeni a macchia di leopardo. Posso dire che, per le api, è stata un’annata complicata. Complicata perché una primavera non ideale per il raccolto, ha obbligato gli apicoltori a nutrire parecchio le api. Poi, invece, con la fioritura del tiglio e del castagno, soprattutto nelle valli superiori, le api hanno potuto rimpinguare le scorte. Gli apicoltori hanno anche potuto produrre del miele. Secondo i riscontri ricevuti abbiamo colonie che sono arrivate in buona forma per affrontare l’inverno”.
Ha notizie della diffusione di malattie particolari tra le api della Svizzera italiana?
“Nella Svizzera italiana (e in Ticino in particolare), possiamo contare circa 8’000 colonie produttive, diffuse su tutto il territorio – continua Conconi -. È una situazione abbastanza stabile negli anni. Per esempio osserviamo che, in alcune zone del Luganese e del Mendrisiotto (molto pregiate dal punto di vista della produzione di miele), si hanno anche notevoli densità di colonie per chilometro quadrato. Questo potrebbe, dico potrebbe (perché le discussioni su questo punto sono molto contrastanti) anche favorire la trasmissione di malattie fra le varie colonie. Al momento non ho notizie di malattie, di morie particolari, se non di qualche caso di spopolamento, che avviene ormai da tanti anni in questo periodo della stagione. È principalmente dovuto a un sovraccarico di varroa”.
Come stanno le “nostre” api rispetto a quelle degli altri cantoni?
“Per me è difficile dire se nella Svizzera italiana stiano meglio rispetto al resto della Confederazione. Posso dire che in Ticino le api godono ancora di una diversità della flora che può fornire loro parecchi nutrimenti. Tuttavia siamo sempre sulla lama di un coltello, l’abbiamo già visto in altri anni. Per motivi che a volte ci sfuggono, la situazione può deteriorarsi e all’improvviso osserviamo morie anche del 30-50%. Vuol dire che metà dei “popoli” che si apprestano, adesso, a passare l’inverno, non li ritroveremo più in vita la prossima primavera. Questo può succedere per svariate cause o per il concorrere di tutte queste cause insieme. Se invece non ci sono malattie e parassiti le colonie (formate da decine di migliaia di operaie, da qualche migliaio di maschi solo nella stagione estiva e da una sola regina) possono sopravvivere all’inverno e farlo per diversi anni”.
Quando si parla di api si parla di “super-organismo”…
“Potremmo paragonare un popolo di api a una città, ma in realtà sarebbe più corretto paragonarlo a un individuo. Tante api ricoprono compiti che, messi tutti assieme, permettono la sopravvivenza del popolo; non è altro che un super-organismo, un individuo, dal punto di vista biologico. Se scompare il popolo di api, quelle api non esistono più: un’ape da sola non può fare nulla, c’è bisogno di tutta la colonia per perpetuarla negli anni e dunque permettere al patrimonio genetico di continuare il proprio percorso. Ci vuole una regina, attorniata da 10’000 o più operaie e da qualche maschio per permettere al popolo di api di vivere e moltiplicarsi”.
Mettiamo in fila i problemi principali che affliggono le api…
“Probabilmente il problema principale è costituito dall’acaro varroa, arrivato da noi intorno al 1985. Ha stravolto il modo di fare apicoltura. Ha messo sotto assedio le nostre api. È anche grazie alle cure degli apicoltori che possiamo continuare ad avere api mellifere nella nostra regione. Un altro problema importante sono i pesticidi, in particolare gli insetticidi. Oramai lo dicono molti studi, l’impatto degli insetticidi sugli insetti, sulla diversità biologica degli insetti, è devastante. Le api sono insetti e dunque c’è poco da girarci attorno. Gli insetticidi sono un problema per le api, ma non solo. C’è il cambiamento climatico che sregola i ritmi della vegetazione e di conseguenza le api hanno difficoltà a trovare, per esempio, il nutrimento al momento giusto del proprio sviluppo. Deve essere citato anche l’impatto delle attività umane sull’habitat che ci circonda… ormai fa parte del passato il paesaggio agricolo diversificato, fatto di piccoli campi e di prati fioriti attorniati da siepi. Oggi abbiamo un paesaggio composto da bosco e da zona urbana. Comporta che la diversità floristica, e perciò anche l’apporto di nutritivi per le api, è in caduta libera e questo provoca difficoltà, soprattutto per la salute”.
Che riflessioni impone il “disastro varroa”?
“Questo disastro ci fa riflettere su molti punti. Un punto riguarda gli apicoltori, perché sono stati loro che, trasportando le api un po’ in maniera indiscriminata in tutte le parti del mondo, hanno permesso il salto di specie della varroa dall’apis cerana asiatica all’ape mellifera (la nostra ape da miele). Ovviamente a quell’epoca probabilmente non si sapeva che ci fosse il rischio di incorrere in un problema del genere. Altro punto molto importante è che il disagio (anche sanitario) delle api segnala un disagio dell’ambiente. In altre parole abbiamo un territorio che si sta degradando, che non offre più nutrienti necessari e diversificati alle api e queste ultime si indeboliscono. È un problema che potrebbe essere controbilanciato. Per esempio basterebbe favorire una vegetazione con maggiore biodiversità. Ognuno di noi, nel proprio giardino, può fare qualcosa per avere prati fioriti piuttosto che prati rasati continuamente. E lo possono fare anche le autorità pubbliche, gestendo i parchi in maniera più sostenibile e orientando il verde pubblico verso un verde bio-diverso, verso un verde costituito con flora autoctona, che può supportare sia gli insetti che gli uccelli. Inoltre (e questo è un messaggio destinato all’agricoltura, ma anche a chi fa l’orto nel proprio giardino), è bene utilizzare meno prodotti chimici possibili. In particolare bisogna bandire gli insetticidi, che stanno causando un catastrofico declino degli insetti, fra cui le api.
Senza le api scompariremo anche noi?
“Si fa spesso riferimento a una frase. Dice che se dovessero scomparire le api, al genere umano rimarrebbero quattro anni di esistenza. Frase attribuita ad Albert Einstein che, a quanto risulta, non l’ha mai pronunciata. Io dico sempre: è vero, Einstein non l’ha mai pronunciata, è stata un’invenzione dell’Union de l’apiculteur française. Però un ricercatore del suo calibro, oggi, di fronte alla situazione che ci ritroviamo, probabilmente una frase del genere la enuncerebbe. Le api domestiche, le api selvatiche, gli insetti prònubi , (impollinatori n.d.r.), sono alla base della nostra sana alimentazione. Un boccone su tre di quello che mangiamo lo dobbiamo all’esistenza delle api domestiche selvatiche che, grazie al loro lavoro di impollinazione, permettono di avere nel nostro piatto frutta, verdura, carne, formaggio, alimenti importanti per avere poi una vita sana, dunque un buon apporto di proteine, che possono essere di origine animale o vegetale, di vitamine, di sali minerali. Tutto questo lo abbiamo grazie all’azione degli insetti impollinatori, delle api in particolare. È vero che la base dell’alimentazione cioè i cereali in gran parte (perciò mais, frumento, riso), possono riprodursi senza l’azione di insetti (perché si impollinano grazie al vento); se dovessero scomparire le api, dunque, non moriremmo di fame. Però avremmo un’alimentazione estremamente povera, perché molti degli alimenti che ci forniscono vitamine, proteine, sali minerali, avremmo difficoltà ad averli senza le api che fanno il lavoro di impollinazione. Ritorniamo all’inizio del nostro discorso. Se le api stanno male, questo ci deve far preoccupare per la nostra stessa esistenza. Perché, se non facciamo nulla per frenare questa progressione delle difficoltà delle api (dovute anche alle difficoltà del nostro territorio, della biodiversità), andiamo a intaccare le nostre stesse basi della sussistenza. Tutto è collegato in questo mondo e se ci vengono a mancare gli insetti, beh, ci accorgeremo, prima o poi, di quanto siano un elemento indispensabile per ritrovarci nel piatto un’alimentazione sana”.
Le api rischiano di sparire dalla Svizzera?
Telegiornale 22.09.2023, 12:43
Notiziario delle 10:00 del 22.09.2023
Notiziario 22.09.2023, 11:20
Contenuto audio