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Come ci ha cambiato questo tsunami

La testimonianza sulla situazione coronavirus negli Stati Uniti di Francesco Rotatori, medico di cure intense all'ospedale di Staten Island

  • 22 aprile 2020, 22:00
  • 22 novembre, 19:30
04:18

Un cardiologo contro il virus

RSI/Massimiliano Herber 23.04.2020, 01:05

Di: Massimiliano Herber 

"Mi ritrovo in questa situazione e mi chiedo: dov'è il successo?". A un certo punto il tono dell'intervista via Skype si fa più intimo, il racconto più personale. "È un momento di totale awakening, di risveglio…", confessa Francesco Rotatori, marchigiano trapiantato a New York, che con parole ponderate e senza concessioni retoriche ha raccontato al Telegiornale RSI la sua esperienza di medico catapultato in cure intense all'ospedale di Staten Island, di fronte a Manhattan, in questi tempi d'emergenza.

Un cardiologo contro il virus

New York è l'epicentro del focolaio del virus. Le immagini della Grande Mela deserta fanno il giro del mondo. Le corsie di tutte le strutture sanitarie da tre settimane sono piene di malati. "Il Richmond University Medical Center è un community hospital - spiega Rotatori -, ha normalmente 120-130 letti e in questo momento abbiamo 300 ricoverati. In terapia intensiva c'erano una decina di letti, il picco è stato 65 pazienti intubati. Sei volte la capienza abituale". A lui, cardiologo formatosi tra Milano e New York, è stato chiesto di trasformare l'ala dedicata all'endoscopia in un reparto Covid-19. "È una costante emergenza - ci dice -, e certe volte piccole cose fanno una differenza enorme: immagina i pazienti che non possono parlare perché intubati, hai bisogno di tenerli sotto osservazione, allora inizialmente abbiamo deciso di comprare dei baby monitor per poterli guardare, poi ci siamo accorti che era meglio avere uno spazio aperto per poterli osservare e seguire meglio. Per questo ho deciso di rivoluzionare la recovery room dove prima si facevano le endoscopie".

Le prime avvisaglie e lo tsunami

Il coronavirus è stato "uno tsunami", racconta il medico, per il sistema sanitario statunitense. "Non eravamo preparati. Non immaginavamo che potesse diventare una cosa di dimensioni epocali". La professione del medico e la vita in ospedale qui, spiega, è scandita dalle "Guidelines Directed Medical Therapy”, linee guida ferree che però l'opzione della pandemia, per questo da fine marzo il lavoro è diventato una serie di tentativi."Avendo visto cosa era accaduto in Italia e per come è fatta la città, ammette il cardiologo 43enne, New York era la ricetta per il disastro: finché non è arrivata qui l'emergenza era impossibile da far capire alle persone".

Come è cambiato il lavoro

Ogni approccio e ogni cura sono cambiate in corso d'opera."L'uso delle mascherina all'inizio veniva sconsigliato per non mettere paura ai pazienti, poi abbiamo iniziato con quelle chirurgiche, poi le N95, poi con la visiera e gli occhiali e ora siamo coperti da capo a piedi, non ci si riconosce neppure e dobbiamo mettere le nostre foto al petto per fare vedere l'identità". E il materiale necessario l'avete sempre avuto? "All'inizio usavamo 150 mascherine al giorno, poi improvvisamente quasi 3'000; in pochi giorni le scorte erano finite e quando le abbiamo ordinate erano out of stock e così, come molti ospedali, siamo rimasti senza".

E le cure? "Siamo partiti con il concetto che si trattasse una polmonite virale, poi c'è chi suggeriva un antimalarico [NdR, come il presidente Trump], chi solo gli antinfiammatori, poi è stata ipotizzata una somiglianza all'embolia e allora usi medicinali per liberare le arterie, poi altri studi suggeriscono analogie con la malattia di chi scala le montagne ("high altitude sickness”) e allora provi gli steroidi… in tre settimane abbiamo cambiato radicalmente il modo di concepire la malattia".

"Vedi questi pazienti malatissimi e ti senti inerme, sembra che non fai abbastanza - confessa Rotatori. Oggi la mia professione è qualcosa di diverso – chiosa – prima era basata sulla soddisfazione di curare e guarire i pazienti. Ora li accompagno nel momento di difficoltà, a volte senza poter far niente, e devo accompagnarli alla morte".

Accanto ai pazienti in difficoltà

Francesco Rotatori in corsia all'ospedale di State Island.jpg

Questa eccezionalità è accompagnata da gesti piccoli che diventano eccezionali. Come il porre il proprio cellulare accanto all'orecchio del malato per far udire le voci dei famigliari, come ascoltare un paziente in crisi e parlare con lui del suo cugino, o come la mamma che riesce a parlare ai figli a tarda sera grazie al suo telefonino…"Il mio telefonino è diventato il centralino dell'ospedale per molte famiglie”, arrossisce Francesco Rotatori.

"Il sistema sanitario americano è complesso, difficile da far comprendere in Europa, spiega, ci sono tanti problemi economici, sociali e culturali ma non posso immaginare che qualcuno non sia stato curato di Covid perché non se lo poteva permettere. Quello che succede, invece, è che ora non riusciamo a dimettere i pazienti perché per poter andare a casa avrebbero bisogno dell'ossigeno che non possono pagarsi poiché non hanno l'assicurazione. E così non possono andare a casa”

Si riapre, si riparte

Ora che la curva dei contagi si sta appiattendo, anche a New York si comincia a parlare di riaperture e ripartenza, ma Rotatori non nasconde qualche timore:"Sono preoccupato che tanta gente che è solo rimasta a casa (per carità, è stato un sacrificio!), ma non è stata toccata dai contagi o non conosce qualcuno che è morto, possa ripartire come se nulla fosse, dicendo: vabbè, è tutto finito”.

Ma come se lo immagina il ritorno a questa normalità un medico che è stato così coinvolto in prima linea? "È ancora lunga… Se fosse per me non farei più salire qualcuno su un aereo con la febbre, imporrei un termoscanner in tutti i gate per i prossimi… forse per sempre! E a mio figlio l'ho già detto: niente più metropolitana senza la mascherina”.

Gli eroi del sistema sanitario

Anche gli Stati Uniti tributano ogni sera il loro omaggio al personale sanitario. I giornali sono zeppi di articoli e testimonianze di medici e infermieri, quasi una riscoperta del loro ruolo vitale a lungo sottovalutato."È bello, ti senti parte di una comunità. Polizia e vigili del fuoco ogni sera fanno il giro dell'isolato dove c'è l'ospedale a sirene spiegati, la gente ci applaude, siamo sommersi da disegni e regali, ma il termine "eroe" no, lo lascerei da parte…". Al di là dell'inevitabile retorica (non solo americana), oso chiedere, ora che il picco è alle spalle puoi affermare che "ne siamo usciti migliori”? Francesco Rotatori respira profondamente e poi ammette:"È sempre giusto guardare gli aspetti positivi da cui imparare… però ragazzi, è stato un dramma totale. Ne usciremo migliori? Boh. Ne usciremo diversi, sì”.

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L'esperienza di un medico italiano a New York

Telegiornale 22.04.2020, 22:00

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