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Disciplinari della discordia (2)

Denominazioni di origine protetta (DOP) e regolamenti che fanno discutere. Dopo il Bitto ecco la carne secca grigionese

  • 10 luglio 2019, 05:33
  • 4 settembre 2023, 17:52

L'artigianalità che sopravvive

RSI/Dario Lanfranconi e Fabio Salmina 10.07.2019, 07:45

  • RSI

Quello del Bitto valtellinese (vedi reportage e correlati) è il caso più noto. Noi torniamo oggi a parlare di denominazioni di origine protetta e disciplinari di produzione che non fanno l’unanimità passando dalla Valtellina basta ai Grigioni, la patria della storica carne secca.

Alois Schlager è un piccolo macellaio di Churwalden, lavora in maniera molto tradizionale e, oltre a fregiarsi dell'Indicazione geografica tipica (IGP), ha messo in piedi un presidio Slow Food, proprio come quello dello Storico Ribelle o ancora dei cicitt di capra delle Valli del Locarnese o dello Zincarlin della Valle di Muggio.

“La carne che utilizziamo – ci spiega Schlager – viene da contadini della regione, dai quali acquistiamo… ed è importante che gli animali possano crescere in maniera naturale e con un buon nutrimento. In questo modo si ha una carne migliore e un’ottima materia prima che ci permette di ottenere un buon prodotto finale”.

A dispetto degli attriti valtellinesi, sul noto e spesso contestato utilizzo della carne straniera il macellaio grigionese è però abbastanza comprensivo: “L’utilizzo di carne estera è molto importante per la produzione industriale. L’industria necessita di quantità così grandi di materia prima che in Svizzera non sono disponibili. Per questo devono andare ad acquistare in Brasile, Argentina, Paraguay, Australia, …”. Nel contempo capisce però anche le critiche: “Si potrebbe dire che acquistando dall’estero questa carne non dovrebbe più chiamarsi carne secca grigionese. Però come accade con gli orologi e altri prodotti per i quali il valore aggiunto è un fattore importante, ci saranno sempre pressioni affinché sia permesso e accettato lavorare con carne straniera. Noi non lo facciamo, ma noi siamo davvero molto piccoli, pertanto per noi c’è carne a sufficienza e di ottima qualità qui nei Grigioni.”

Sul ruolo più generale delle “etichette” Schlager crede possano essere utili, ma a una condizione: “Penso che il label da solo non sia sufficiente, credo che le persone debbano sapere che cosa sta dietro a queste denominazioni. Se lo sanno, capiscono anche il grandissimo lavoro che comporta e i costi elevati.”

L’industria: “Tutto regolare”

Il presidente dell’associazione Bündner Fleischfabrikanten Andrea Mani non ha voluto rispondere alle nostre domande sull'utilizzo di carne estera, rimandandoci alle risposte date in passato alla trasmissione SRG Kassensturz, già ripresa da Patti Chiari: “Per produrre 2'800 tonnellate di carne secca all’anno ci vorrebbero 280'000 vacche, ma in Svizzera non ce ne sono così tante”. E ancora: “La qualità del prodotto non cambia, e sull’etichetta viene sempre indicato se è stata fatta con carne svizzera”.

Nel 2017 la Svizzera ha adottato la nuova legislazione Swissness, che prevede un minimo dell’80% di prodotto svizzero per i certificati IGP, ma per la carne secca grigionese è stata prevista una puntuale eccezione.

Dario Lanfranconi - Fabio Salmina

Denominazioni di origine protette, per saperne di più:

Tra Ribelli e DOP

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