Novembre 2014. Kurdistan turco. Al calar della notte, nel villaggio di Meheser, si vedono comparire tanti piccoli falò. Seduti intorno al fuoco un gruppo di uomini e donne intonano canti sulla resistenza.
Succede così tutte le sere, da oltre cento giorni, da quando, cioè, è iniziata l’offensiva su Kobane. È questo infatti il villaggio del Kurdistan turco più vicino alla cittadina siriana assediata dall’ISIS. La puoi vedere bene, di giorno, la città simbolo della resistenza allo Stato Islamico: Kobane infatti è lì, a poco più di cinquecento metri. Ad occhi nudo si vedono alzarsi le colonne di fumo e, con un binocolo, puoi capire quale edificio è stato sventrato, ed in che misura.
Meheser, cinquecento abitanti dediti all’agricoltura e alla pastorizia, è diventato un luogo di scambio: è qui che arrivano da tutto il Kurdistan i “compagni” a mostrare la propria vicinanza alle Unità femminili (YPJ) e di Protezione del Popolo curdo (YPG), le due milizie che stanno combattendo contro il califfato.
Sì, le YPJ, ovvero le milizie femminili curde: hanno fatto la storia della resistenza di Kobane. Donne curde che si ispirano ai principi di emancipazione di Abdullah Öcalan, per loro semplicemente APO, il leader del PKK in carcere dal 1999. Kobane è stata sotto assedio per oltre quattro mesi, ma poi, il 30 Gennaio 2015, i curdi hanno avuto la meglio, e l’ISIS ha dovuto fare dietrofront.
Ma a Meheser, il 25 novembre, anche quest'anno, succede qualcosa di speciale: in occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, viene organizzata una grande manifestazione lungo il confine, tutta al femminile. E sono migliaia le donne che si son messe in marcia, da ogni parte della Turchia, per essere presenti a questa importante ricorrenza. Ci sono donne giovani e meno giovani: camminano, urlano e sventolano al cielo la bandiera verde gialla e rossa. “Jin Jiyan Azadi” gridano con forza. Significa: “Donna, vita, libertà”, ed è uno degli slogan più usati anche dalle YPJ.
Romina Vinci