Le incertezze dei sondaggi, la sicurezza dei bookmakers. Se la scienza statistica, bruciata da clamorose cantonate del recente passato, ha alzato bandiera bianca, riconoscendo l’impossibilità di anticipare l’epilogo referendario, gli scommettitori non sembrano aver dubbi su quale futuro attenda il Regno Unito. La Brexit - ovvero l’uscita dall’Unione Europea - è scongiurata se si crede alle quote degli allibratori, scrupolosi barometri in un paese dove scommettere (su qualsiasi evento, su ogni eventualità) è una religione. Ciononostante la cautela è d’obbligo dopo 100 giorni di campagna referendaria quanto mai accesa, divisiva, dogmatica.
Dibattito estremizzato
Il fronte pro-Unione ha insistito sulle convenienze economiche del mercato unico anche per disinnescare l’arma retorica più efficace in mano ai sostenitori della Brexit: l’immigrazione fuori controllo. Ma la retorica europeista è degenerata in una “campagna di paura”, prefigurando scenari apocalittici in caso di divorzio da Bruxelles. Un’ inutile estremizzazione, a scapito di argomentazioni più equilibrate, condivisa dagli euroscettici, colpevoli di aver cavalcato strumentalmente (e cinicamente) le paure legate ai flussi migratori.
Regno spezzato a metà
Il Regno va così al voto più diviso che mai. Una spaccatura che si riflette nella composizione dei due schieramenti. Gli unionisti si concentrano principalmente nei grossi centri urbani (a cominciare da Londra), anagraficamente più giovani, meglio scolarizzati, realizzati economicamente. La Brexit alloggia nelle periferie, tra chi è rimasto escluso dalla mobilità sociale, chi si sente tradito dalle promesse della modernità globalizzata.
Confronto impari
Votare contro l’Unione diventa allora un voto di protesta, ma anche d’affermazione identitaria, di speranza e di rifiuto dello status quo. Un voto che rivela sincere paure ed ingenue nostalgie, per un passato che mai ritornerà. Su queste pulsioni la Brexit ha costruito una narrativa simil-patriottica che ha saputo reggere l’impari confronto con la potenza dell’establishment (media, università, politica, industria, finanza, sindacati), compatto nel voler restare.
Futuro Cameron
Spettatore interessato, e partecipe, della contesa referendaria, il Premier David Cameron. Nelle prime ore di domani, venerdì 24, scoprirà - e noi con lui - quale destino (politico) lo attende. Se il Regno resterà in Europa, si limiterà ad un rimpasto di governo per ricompattare il suo partito, i Tory, lanciando un messaggio di distensione al paese. Lo strappo dal continente, viceversa, equivarrebbe ad un ordine di sfratto da Downing Street, in largo anticipo sulla scadenza del mandato (2020). E sull’uscio di casa troverebbe ad aspettarlo la zazzera bionda di Boris Johnson, già pronto a subentrargli.
Lorenzo Amuso