Lo sgombero del campo di Idomeni, la scorsa fine di maggio, non ha risolto il problema dell’alto flusso migratorio che ha investito la Grecia. Il governo di Atene ha infatti cercato di distribuire gli 8.400 profughi di Idomeni nei campi governativi nati attorno a Salonicco, all’interno di fabbriche abbandonate e capannoni industriali. Non tutti però hanno accettato il trasferimento.
“Quei campi sono delle prigioni, le condizioni di vita non sono dignitose, mancano cibo e acqua”, racconta Mosen, un ventunenne che ha lasciato l’Afghanistan sei mesi fa insieme ai genitori e al fratello con prole. La loro è una delle tante famiglie che, da varie settimane, vivono accampate in una piazza antistante la stazione dei treni di Salonicco. Ogni notte si mettono in marcia, cercando di passare inosservati e camminando oltre quattro ore prima di arrivare al confine con la Macedonia. Vogliono lasciare la Grecia, ad ogni costo. Ma raramente questa lunga traversata trova un lieto fine. “L’altra notte ci eravamo nascosti in un hotel abbandonato per riposarci un po’ – racconta Neeolafar, una 22enne di Kabul che viaggia con i suoi genitori e le sue sorelle –, ma dei signori del posto ci hanno visto ed in pochi minuti è arrivata la polizia che ci ha riportato qui alla stazione”. Il tutto in un cerchio malsano che non vede vie d’uscita.
Romina Vinci
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