Pochi giorni fa la Federazione svizzera di pesca l'ha eletto "pesce dell'anno", ma il coregone è anche un pesce migratore. Dirottato nei laghi del Lazio direttamente dai laghi svizzeri del nord, per ordine del ministro dell’agricoltura di Umberto I, il coregone – o anche laverello – s’è trovato benissimo in questo scorcio di Tuscia, incastonato in una delle Vie dell’olio e del vino, tanto da finire tra tagliatelle, risotti o al cartoccio fino a figurare nell’elenco ufficiale dei prodotti tipici della Regione. Negli ultimi anni anche gli chef si sono misurati con le carni di quello che viene definito la spigola d’acqua dolce. Chi decise di impiantarlo nel Lazio fu guidato dalla qualità delle carni e dall’intento di incentivare l'industria peschereccia.
Ora però il coregone, diffuso e apprezzato anche nei laghi lombardi e in alcuni specchi d’acqua del parco nazionale d’Abruzzo, è finito nella rete di un decreto del ministero della Transizione ecologica italiano che tende a mandare in esilio le specie aliene. Questo significherebbe la fine delle operazioni necessarie di ripopolamento: un altro guaio che si aggiungerebbe alla complicazione della vita negli habitat, la sovrapesca e il climate change, come raccontiamo in questo servizio di Oltre la news che abbiamo realizzato ad Anguillara Sabazia, sulle sponde del Lago di Bracciano dove su questi temi è molto attiva l’Associazione culturale Sabate.
Eppure questo pesce pantografo è anche un ottimo indicatore dello stato di salute delle alghe perché si ciba di plancton e vive in profondità, occupando quella zona di lago non occupata da altre specie. Associazioni e imprenditori locali, oltre a recuperare la memoria storica, stanno provando a valorizzare le qualità nutrizionali del coregone sia nella refezione scolastica sia negli itinerari enogastronomici.
Checchino Antonini