Ci vorranno anni, forse addirittura dieci, per interpretare fino in fondo l'articolo 50 del trattato di Lisbona e scrivere la sceneggiatura del divorzio fra la Gran Bretagna e l'Unione Europea. Non ci sono precedenti, non ci sono esempi da seguire, non sarà facile. Ma il popolo britannico ha deciso per la Brexit e indietro non si torna. Londra è preoccupata, Bruxelles è arrabbiata. Paura e rabbia, non sarà un divorzio con brindisi finale.
L'UE non farà sconti, anche e soprattutto per non rendere troppo scorrevole la via d'uscita dall'Unione che potrebbe tentare altri paesi, la Polonia, l'Ungheria e la Slovacchia per cominciare. Germania e Francia, che dell'UE sono e restano le locomotive, guardano con una certa preoccupazione al 2017, anno elettorale per entrambi, con il potere a Berlino e a Parigi assediato da formazioni politiche che chiedono "meno Europa". Quella che si è appena aperta è la crisi più profonda nella storia dell'Unione Europea. E c'è qualcosa di salutare in questo vero e proprio scossone. Per evitare il declino, l'UE dovrà reinventarsi con una nuova strategia: meno burocrazia e più ideali, meno soldi distribuiti a vanvera e più valori, meno leggine e più federalismo. Una vera e propria scommessa. Non basterà richiamarsi ai padri fondatori dell'Europa unita per vincerla. I tempi sono cambiati. L'UE è ormai un club in cui c'è ancora chi vuole entrare, ma dal quale da oggi si può anche uscire per andare, come hanno deciso di fare i britannici, da un'altra parte.
Reto Ceschi