La strada che porta a San Pellegrino è una lunga striscia di cemento che taglia in due campi ingialliti. Il paesino, che dista pochi chilometri da Norcia, ai piedi di quelle montagne dove il terremoto della scorsa settimana ha fatto oltre 290 morti, ha subito danni irreparabili.
Qui non è come stare ad Amatrice, ad Accumoli o ad Arquata del Tronto, dove le macerie hanno schiacciato decine di vite, ma le conseguenze del sisma sono tangibili. Le persone hanno perso tutto e anche chi non si è visto crollare la casa sulla testa, non potrà comunque ritornarci, per molti mesi.
"Sopra c'è stata la tragedia, qui il dramma": è con questa frase che Giorgio Iorio, forestale della comunità montana, riesce a sintetizzare la situazione dell'intera area colpita.
Con il capo squadra dei vigili del fuoco Marco Bizzarri superiamo la linea rossa che divide la tendopoli dalla zona in cui tutto è stato proclamato inagibile. Tegole per terra, muri crollati, calcinacci, il campanile del 1300 sbriciolato, convivono ormai da oltre sette giorni con le processioni silenziose degli abitanti che vanno a recuperare alcuni oggetti e vestiti o a dar da mangiare alle galline.
"Svuotiamo il frigo e prendiamo qualche cambio per i prossimi giorni", ci spiega Francesco con gli occhi lucidi, "qui di notte fa freddo". Ed è vero, basta che il sole venga oscurato dalle nuvole e il clima cambia immediatamente.
La terra intanto continua a tremare, brevi scosse che ricordano che la strada è ancora tutta in salita. Ora bisognerà abituarsi a vivere fuori casa anche se la casa c'è ancora, sperare in aiuti concreti anche quando l'emergenza sarà finita. E poi ancora auspicare, come ci dicono in tanti, che i turisti torneranno, per non lasciare che pure l'economia crolli.
Alessandra Spataro