Una delle conseguenze dello scoppio della guerra civile nel 2013 in Sud Sudan è stata la fuga di migliaia di persone dal nord del Paese, una delle aree più colpite, verso la capitale Juba. La maggior parte di etnia Nuer, la seconda maggioritaria in Sud Sudan, e la più vessata dagli scontri tra forze governative e ribelli. In preda alla disperazione si sono rifugiate nella base delle Nazioni Unite, che si è rapidamente trasformata in un campo per la protezione dei civili (PoC). Si tratta della prima volta che accade nella storia delle missioni di pace dell’Onu.
Dal 2013 ad oggi, il numero della popolazione all’interno del campo è passato da qualche centinaia a 40mila persone, soprattutto donne e bambini. Il 99% è di etnia Nuer, terrorizzato dall’idea di lasciare la base Onu per paura di subire violenze dalla principale etnia del Paese: i Dinka. Peter, un giovane di 21 anni, vive da due anni in quello che si è trasformato in un enorme accampamento e racconta la fuga dalla sua casa in piena notte. «L’esercito regolare cercava gli uomini di etnia Nuer casa per casa, sentivo i proiettili sopra la mia testa, ma sono riuscito a scappare». C’è chi, però, pensa che si tratti di uno scontro politico e non etnico, accusando i media internazionali di voler destabilizzare il governo guidato da Salva Kiir, di etnia Dinka. Una tesi sostenuta anche da Daniel Deng, arcivescovo anglicano di Juba.
Intanto il sovraffollamento ha aumentato il rischio che si diffondano epidemie come tifo e colera che renderebbero la vita degli sfollati ancora più disperata.
Lorenzo Simoncelli