Prima dell’arrivo dello Stato Islamico nel 2014, Qaraqosh (o Bakhdida), 20 km da Mosul, era la più grande città cristiana d’Iraq. Le 50 mila persone che vivevano qui sono state costrette a scappare, spesso percorrendo decine di chilometri prima di essere al sicuro, nella regione del Kurdistan.Inizialmente accolti nei campi profughi, alcuni hanno trascorso mesi nelle tende, nei container, ma anche nei palazzi in costruzione e mai terminati delle periferie di Erbil, dove la crisi economica e la guerra a Daesh hanno bloccato crescita ed investimenti. I più fortunati hanno trovato alloggio dai parenti nel sobborgo di Ankawa, o sono riusciti a rimettere in piedi un’attività per permettersi una casa in affitto.
Padre Jalal Yako, sacerdote cristiano nato e cresciuto a Qaraqosh, con un periodo di studi in Italia alle spalle, ha seguito la stessa sorte dei suoi concittadini, ed è rimasto con loro fino ad oggi, prima in un capannone, poi in ex centro commerciale trasformato in dormitorio. Ha perso la casa, la sua chiesa, i ricordi di una vita, ma non la speranza, un giorno, di poter rivedere la sua città. Quel giorno è arrivato il 31 ottobre, ad una settimana dalla cacciata dello Stato Islamico ad opera dell’esercito iracheno e delle milizie cristiane della Niniveh Protection Unit (vd correlati).
Oggi però Qaraqosh è una città fantasma, dove il silenzio è interrotto solo dal rumore degli spari, o di qualche colpo di mortaio. È un cumulo di macerie e odore di bruciato, con case, negozi e chiese devastati: ogni simbolo religioso è stato fatto a pezzi, ogni statua decapitata. Montagne di libri sono stati bruciati, i campanili abbattuti, le croci fatte cadere dai campanili. Gli edifici, quelli rimasti in piedi, non sono stati ancora bonificati completamente, e questo rallenta, per motivi di sicurezza, il rientro dei civili che aspettano di capire cosa si è salvato della loro vita. Per padre Jalal ogni passo è una ferita aperta, perché la sua città è irriconoscibile, ed è difficile immaginarla com’era, anche se il desiderio di tornare a farla vivere è forte.
Mauro Consilvio/Ilaria Romano