Il patrono di Agrigento è san Gerlando, ma il santo più venerato, quello che annovera il maggior numero di devoti è San Calogero. Secondo tradizione, il monaco africano, giunto in Sicilia per evangelizzare il popolo dell'isola, è entrato nei cuori degli agrigentini perché durante un lungo periodo di pestilenza si aggirava per la città senza alcun timore. Obiettivo: chiedere del pane da poter distribuire ai poveri. Si narra così che al passaggio di Calogero la gente lanciava il pane dalle finestre per paura del contagio. Il coraggio, l'altruismo e la generosità di quel monaco nero ne hanno fatto negli anni una figura mitica alla quale Agrigento dedica una festa molto sentita di otto giorni, dalla prima alla seconda domenica di luglio.
La festa di San Calogero (Calò per tutti gli agrigentini) è probabilmente unica al mondo. Un mix di misticismo, leggenda, devozione, fede e energie che convergono tutte quante nell'estasi del momento dell'abbraccio e del bacio alla sua statua che è portata in processione per le strade cocenti della città dei Templi.
Lo scenario è ineguagliabile e difficilmente descrivibile. Durante i giorni della festa si va dall'Alborata (lo sparo di mortaretti all'alba) sino alla Maschiata serale (lo spettacolo pirotecnico della domenica conclusiva). È tutto un alternarsi di emozioni suggestive anche per chi è puro osservatore. L'attesa dell'uscita del Santo dalla chiesa a lui intitolata, la tamburinata, i canti, le grida, il faticoso e pittoresco cammino dei portatori con il santo nero per le viuzze di Agrigento, i viaggi a piedi nudi con le richieste di grazie da parte delle migliaia di pellegrini rappresentano un palcoscenico unico e difficilmente dimenticabile, dove il sacro si mescola - come non mai - al profano.
Dario Lo Scalzo