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Teherangeles, gli iraniani d'America

La California ospita la più grande comunità della diaspora iraniana, toccata dal “travel ban” imposto da Donald Trump

  • 08.05.2018, 14:30
  • 23.11.2024, 01:35

Non si può sbagliare indirizzo. Westwood Boulevard. Lo sanno tutti. Per trovare la “Piccola Persia” bisogna arrivare in questo quartiere di Los Angeles, non lontano dalle colline di Hollywood. Qui – lungo Westwood Boulevard - c’è tutto quello che serve alla comunità iraniano-americana. Ristoranti persiani, studi legali, le immancabili gioiellerie. E le gallerie d’arte, con tappeti e drappi di stoffa con le scritte in farsi.

C’è chi vive qui da oltre mezzo secolo. Come il titolare del “Music Box”, arrivato da Teheran a metà degli Anni Sessanta. Da allora gestisce questo negozietto di musica. Tra dischi e cd che sembrano antiquariato, campeggia il poster col ciuffo brizzolato di “Dariush”. È uno dei miti della musica iraniana, ha composto strofe con i versi del grande poeta sufi Rumi, i cui testi sono impilati con ordine in una libreria lì accanto.

La comunità iraniana è multiforme come le decorazioni sui vasi smaltati della bottega “Esq”: significa “amore” in persiano, ci spiega Bahman Bennet, il proprietario.

Con il travel ban imposto dall’amministrazione Trump – in attesa di una decisione della Corte Suprema - anche per gli iraniani della diaspora in USA è diventato più difficile viaggiare.

Con il travel ban imposto dall’amministrazione Trump – in attesa di una decisione della Corte Suprema - anche per gli iraniani della diaspora in USA è diventato più difficile viaggiare.

  • © RSI – Emiliano Bos


Il mosaico della diaspora

“C’è chi è fuggito all’epoca dello Shah, chi è scappato con l’arrivo di Khomeini e chi è costretto tuttora a lasciare l’Iran” spiega Sohaela Amiri, 27 anni. È una ricercatrice, sta completando il suo dottorato in diplomazia. “La diaspora ha molti volti, non è una comunità omogenea. Si differenzia per età, religione e orientamento politico”. Lei appartiene a quel gruppo di iraniani niente affatto contenti dell’amministrazione Trump. Da quando è stato introdotto il cosiddetto “travel ban” (su cui si pronuncerà a breve la Corte Suprema) tutto è cambiato. “Siamo sempre sotto attacco, veniamo dipinti per quello che non siamo”. Il signor Roozbeh Farahanipour invece dice di essere contento dell’appoggio di Trump alla causa iraniana. In passato, è stato un leader del movimento indipendentista laico, imprigionato più volte e poi fuggito dall’Iran. A Los Angeles vive come rifugiato politico da molti anni. Lo incontro al “Delphi Greek”, il ristorante a gestione famigliare che ha aperto sul Westwood Boulevard. Per chi come molti iraniani vive immerso nella storia e nella cultura millenaria delle proprie origini, persino il nome di un ristorante diventa mitologico. Grazie Trump, dice, “ma non vogliamo interferenze nella nostra politica interna”. Invece i falchi della Casa Bianca – come il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton – vorrebbero un cambio di regime a Teheran.

La chiamano anche “la piccola Persia”, nella zona occidentale di Los Angeles. Gran parte della vita della comunità iraniana-americana ruota intorno a questa strada, Westwood Boulevard.

La chiamano anche “la piccola Persia”, nella zona occidentale di Los Angeles. Gran parte della vita della comunità iraniana-americana ruota intorno a questa strada, Westwood Boulevard.

  • © RSI – Emiliano Bos


Maschera d'ossigeno

Non è vero che Trump abbia a cuore gli iraniani che vivono negli Stati Uniti, afferma invece Faramarz Bolandpour. È seduto dietro alla scrivania del suo ufficio, naturalmente affacciato sul solito boulevard. Si occupa di passaporti, visti e pratiche legali, per iraniani ma soprattutto per gli stranieri che vogliono andare in visita nel suo paese. Mi ricorda che la maggior parte dei suoi connazionali arrivati qui hanno livelli di preparazione elevati: medici, docenti, ricercatori, avvocati, intellettuali. “Alla Nasa – sostiene – ci sono migliaia di scienziati iraniani”. Ma con il cosiddetto “divieto di viaggio” dell’amministrazione Trump rivolto anche all’Iran, “per le nostre famiglie è diventato difficile viaggiare”. Di fronte al suo ufficio c’è la gelateria “Saffron and Rose”. Si fa la coda, ma ne vale la pena. Il cono col gelato allo zafferano è un tuffo delicato in un sapore d’altri tempi. Anche Sohaela vorrebbe che arrivassero tempi diversi per la comunità iraniana qui negli Stati Uniti. Le chiedo se è impegnata in qualche modo a sostenere la società civile nel suo paese. “No, adesso voglio concentrarmi su cosa fare qui. Poi potrò pensare anche a chi è rimasto in patria”. È come sull’aereo in caso di emergenza, dice Sohaela: “Prima bisogna indossare la maschera per l’ossigeno, e soltanto dopo è possibile aiutare gli altri”.

Emiliano Bos

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