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Una Brexit pragmatica

E’ quanto ha stabilito il governo britannico, riunito ieri per raggiungere un “compromesso ragionevole” sul divorzio dall’Unione

  • 23 febbraio 2018, 11:28
  • 23 novembre, 02:27
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Londra ha deciso che tipo di Brexit vuole: il commento

RSI/Lorenzo Amuso 23.02.2018, 11:27

Otto ore di serrate trattative. Intervallate da una breve cena a base di zuppa di mais, costolette al forno, torta di limone. Alle 22:00, puntuale come da programmi, il gabinetto di guerra si è sciolto. Theresa May è stata la prima a lasciare i Checquers, la residenza di campagna della Prima ministra scelta per stabilire la linea governativa nella fase due dei negoziati con Bruxelles. Dopo 20 mesi dal voto del 2016, finalmente Londra ha deciso verso quale Brexit fare rotta. Non una “hard Brexit”, non una “soft Brexit”, ma una “Brexit pragmatica”.

Equilibrismo

La riunione di ieri si è rivelata - come da facili previsioni - un esercizio di equilibrismo da parte della Premier, costretta dall’incerta aritmetica parlamentare ad evitare scelte di rottura. Una consapevolezza condivisa dai 10 ministri presenti, in rappresentanza delle diverse anime del governo. Una svolta di unità. Dagli ultrà dell’euroscetticismo ai pontieri con Bruxelles. Nessun vincitore, ma soprattutto nessun sconfitto. Il “compromesso ragionevole” emerso prevede un Regno Unito che resterà vicina e aderente a determinate leggi e regolamenti europei, ma solo in determinate aree. In settori di beni strategici, nei quali scelte differenti causerebbero la perdita di migliaia di posti di lavoro.

Parziale adesione

La Premier ha preferito evitare una risposta definitiva sulla futura permanenza nell’unione doganale, che porta con sé conseguenze - potenzialmente tossiche - sul confine irlandese. Sarà materia di negoziato con Bruxelles. Ma nel frattempo ha scongiurato l’ipotesi - minacciata dai sostenitori della Brexit - di una deregolamentazione generale come ritorsione al mancato accordo con l’Europa. Nessun ricatto o ultimatum all’Unione. Il Regno che si siederà al tavolo della fase due dei negoziati pretende il rimpatrio della sua sovranità, offrendo in cambio la spontanea (e parziale) adesione alla legislazione comunitaria. Tutelare i futuri accordi economico-commerciali con il continente sembra dunque aver prevalso sulle divergenze ideologiche.

Lorenzo Amuso

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