#lameteospiegata

Uragani, nell’occhio del ciclone

Ciclone tropicale, tifone o uragano? - Nella quarta puntata di #lameteospiegata ci spostiamo sugli oceani più caldi

  • 30 settembre 2022, 23:51
  • 20 novembre, 14:51
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L'uragano Katrina fotografato il 28 settembre 2005, al suo picco d'intensità

  • NOAA
Di: Dario Lanfranconi 

“Gli uragani fanno un sacco di rumore; fanno un sacco di danni; inoltre l’uomo non ha trovato il modo di controllarli. Non c’è da meravigliarsi che diano loro nomi di donne”. La battuta (perché di battuta si tratta, lo sottolineiamo a scanso di equivoci) del commediografo americano Robert Orben calza a pennello per lanciarci alla velocità del vento nel tema della quarta puntata della serie RSINews #lameteospiegata.

Il tema, “ça va sans dire”, è proprio quello dei cicloni tropicali che, a dipendenza di dove si sviluppano, assumono nomi diversi. L’esperienza e la conoscenza sulla quale ci appoggeremo sono quelle del nostro moderno “Virgilio” meteorologico Luca Nisi di MeteoSvizzera.

Ciclone tropicale, uragano o tifone?

La matassa va dipanata partendo dai nomi e dalle definizioni, che spesso traggono in inganno o generano confusione. In generale, è il nome ciclone tropicale che definisce questa struttura dal “cuore caldo”. Dopodiché, tipicamente ci sono due nomi principali utilizzati nel mondo per definire questi cicloni: uragano viene utilizzato maggiormente sull’oceano Atlantico settentrionale e nel Pacifico centro e nord-orientale (le acque che bagnano le coste ovest dell’America del nord e del Centroamerica per intenderci). Il termine deriva dall’inglese Hurricane, che a sua volta discende dal dio Maya delle tempeste Huracan. Spostandoci verso l’Asia invece, quindi nel Pacifico occidentale e in parte dell’oceano Indiano, viene di norma preferito il termine tifone, che deriva dal cinese “tái fēng”, che significa grande vento (maggiori info sulla suddivisione di oceani e mari). Insomma tre nomi, o meglio due, che indicano la stessa cosa, il ciclone tropicale appunto.

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Proprio in questi giorni l'uragano Ian ha flagellato Cuba (foto) e il sud della Florida

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Che cos’è un uragano?

“L'uragano è un sistema ciclonico che si origina su acque molto calde, quindi su zone molto lontane dalle nostre latitudini, e la temperatura della superficie dell'acqua deve essere di almeno 27 gradi su delle aree piuttosto estese e per una profondità di almeno 50 metri. Si formano quindi tipicamente nelle zone tropicali o subtropicali del pianeta” spiega Luca Nisi. Un ciclone tropicale è caratterizzato da un centro o da un vortice di bassa pressione e soprattutto si differenzia dai sistemi depressionari che conosciamo alle nostre latitudini proprio per il nucleo caldo: “Vuol dire che all'interno di questa struttura abbiamo dell'aria più calda rispetto ai bordi esterni. Un uragano è caratterizzato da diversi fronti temporaleschi che si allungano dal centro a forma di spirale, sono pertanto molto differenti rispetto ai cicloni extratropicali che conosciamo in Europa”. Queste spirali con linee di temporali molto violenti ruotano attorno a un centro ben definito: il cosiddetto occhio del ciclone, “che solitamente è una zona di relativa calma e spesso addirittura con cielo sereno, in prossimità dei fronti temporaleschi invece i venti sono invece particolarmente violenti, le precipitazioni molto intense e le cellule possono a volte dare luogo a dei tornado all'interno dell'uragano… potete immaginare i danni che può provocare”.

Cicloni tropicali vs. cicloni extratropicali, le differenze

In generale, i cicloni tropicali si differenziano da quelli extratropicali, che si formano in zone al di fuori dei tropici, già a partire dalla struttura e dalla dinamica. I cicloni extratropicali, che sono le depressioni che conosciamo in Europa, si formano quando si scontrano masse d'aria con caratteristiche molto differenti, tipicamente una massa d'aria calda e umida provenienti da sud con una massa d'aria fredda proveniente dalla zona polare. “Scontrandosi, a causa delle differenti densità delle masse d’aria e a causa della rotazione della Terra, iniziano a roteare. Queste depressioni hanno il cuore freddo, esattamente il contrario - per quanto riguarda la distribuzione delle temperature - rispetto ai cicloni tropicali. Soprattutto hanno anche dei sistemi frontali, con un fronte caldo e uno freddo ben definiti. Al contrario, i cicloni tropicali hanno un cuore caldo: la loro energia non deriva dallo scontro di masse d'aria con temperature differenti, ma da una superficie marina oceanica molto calda che, evaporando e salendo condensa e rilascia dell'energia nell’atmosfera sotto forma di energia termica (calore latente di condensazione). Non hanno fronti, ma come detto hanno spirali temporalesche molto violente”.

Occhio del ciclone: la calma prima e dopo la tempesta

Come menzionato, le regioni che si trovano sulla traiettoria del centro dell’uragano, sperimentano la tempesta in tutte le sue fasi. All’approcciarsi del sistema ciclonico i venti e le precipitazioni diventano gradualmente più intensi. "All’arrivo dell’occhio avviene un rapido passaggio a tempo più calmo, con il vento in netto indebolimento e la cessazione delle precipitazioni. Durante questa fase, piuttosto limitata nel tempo, i cieli possono diventare sereni, ma spesso è visibile un inquietante muro di nubi verticali verso i bordi dell’”occhio”. Dopo il passaggio di questa zona di temporanea calma i venti ruotano di 180° rinforzandosi nuovamente, così come le precipitazioni.

Alla vista del profano, una zona di calma e cieli anche sereni proprio nel mezzo della tempesta potrebbe risultare molto strana da comprendere. Perché ci sono nubi meno spesse o addirittura ci sono schiarite? "Il motivo è da ricercare nella dinamica ad alta quota: a lato dell’occhio, a circa 15 km di altezza, si forma una divergenza: parte dell’aria viene 'sospinta' verso le parti più esterne del ciclone, parte dell’aria viene sospinta verso l’interno. Nell’occhio del ciclone quindi, sempre ad alta quota, si forma una convergenza di correnti: data l’impossibilità di salire oltre la tropopausa verso la stratosfera (qui i moti verticali sono molto limitati), l’aria è obbligata a scendere verso il basso. Questo processo, anche chiamato subsidenza, fa si che l’aria si scaldi per compressione: l’umidità relativa si abbassa, le nubi si diradano. È stato appurato che la massa d’aria discendente si arresta ad un’altitudine di circa 2000 metri, a causa di un’inversione termica nei bassi strati che talvolta può dar origine a un esteso strato di nuvole a bassa quota (stati e stratocumuli)". Questo effetto di aumento di temperatura data la compressione dell’aria accentua il "cuore caldo del ciclone": a volte le temperature in quota possono essere anche di 10 °C superiori rispetto alle temperature alla stessa quota nei “bordi” dell’uragano.

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La circolazione d'aria nel ciclone tropicale e nel suo occhio

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Come e quando si formano gli uragani?

Partendo dalla dimensione temporale, si può dire in generale che la tarda estate è il momento dove c’è la maggior frequenza di uragani, proprio perché la temperatura superficiale degli oceani è maggiore, anche se ogni regione ha il suo specifico andamento. In media ogni anno si formano 50 cicloni tropicali sul mondo e la zona più colpita è il Pacifico nord occidentale, dove se ne formano mediamente 16. Quelli che interessano maggiormente l’Europa (anche se notevolmente indeboliti), per vicinanza, si formano nell’Atlantico centrale (6 in media) e si sviluppano da giugno a novembre, con un picco tra la fine di agosto e per tutto il mese di settembre. Particolare invece è la zona del Pacifico nord-occidentale, dove i cicloni tropicali si formano e sono possibili tutto l'anno, con un minimo a febbraio e un picco anch'esso all'inizio di settembre. In linea di massima si possono formare su tutta la fascia tropicale e subtropicale, tranne dove c’è la terraferma che annulla la prima pre-condizione di un’ampia distesa d’acqua sopra i 27 gradi.

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Più complesso è invece spiegare la loro formazione: “Diciamo che è tuttora oggetto di ricerca scientifica, perché non tutto è stato scoperto. Ad ogni modo gli elementi che concorrono alla formazione si possono riassumere in cinque punti. Il primo, già citato, è che dobbiamo avere temperature superficiali dell'acqua molto elevate, 27 gradi su una profondità di almeno 50 metri, associabile quindi come immagine a quella di un’estesa vasca da bagno riempita di acqua calda. In concomitanza ci devono essere delle condizioni atmosferiche al di sopra di queste acque che permettano la formazione di temporali. In queste zone tropicali e subtropicali vuol dire, oltre all’acqua calda, una diminuzione importante della temperatura salendo di quota, che dà origine a un’atmosfera instabile, come si dice in gergo. Dopodiché dobbiamo pure avere una perturbazione meteorologica preesistente, un piccolo disturbo che va a innescare le cellule temporalesche andando a creare un gruppo di temporali. Gli uragani non partono infatti da una singola cellula temporalesca, ma da diversi temporali, anche decine, che si stimolano l'un l'altro sopra una data regione. Il quarto elemento è rappresentato dalla rotazione terrestre e l’effetto Coriolis. Per averlo dobbiamo trovarci nelle zone tropicali, ma non su sull'equatore dove la forza di Coriolis è pressoché trascurabile. Bisogna pertanto essere almeno a dieci gradi Nord o Sud, in quanto questa forza deve riuscire a far iniziare una rotazione al gruppo di temporali. In ultima battuta è necessaria anche un’assenza di forti venti durante la formazione dei gruppi di temporali, che andrebbero a disturbare la dinamica rotatoria impedendo la formazione del ciclone.

Uragani e intensità, la classificazione

I cicloni tropicali vengono classificati in quattro categorie. “La prima in italiano la possiamo definire come onda tropicale, che è proprio questo sistema non organizzato di temporali senza ancora una rotazione ordinata delle celle e i venti al suolo sono ancora piuttosto contenuti. Il secondo ‘step’ è la depressione tropicale, che indica quando il gruppo di temporali inizia ad avere, a causa della loro struttura matura e della forza di Coriolis, una rotazione attorno a un proprio centro. Ed è a questo punto che i venti a basse quote cominciano ad aumentare, misurando tipicamente delle velocità medie comprese tra 36 a 61 km/h. Delle velocità che conosciamo in alcune situazioni anche nella regione alpina e che non sono particolarmente violente. È poi proprio la velocità del vento che definisce le ultime due categorie: nel terzo grado – quello delle tempeste tropicali – la rotazione diventa più organizzata e i venti alle basse quote, anche a causa dei temporali molto violenti, sono più forti con delle velocità medie comprese tra 62 e 118 km/h. Questo terzo stadio è anche il momento nel quale alla tempesta viene attribuito un nome proprio. Il quarto e ultimo stadio è l'uragano, ovvero quando il vento alle basse quote supera i 118 chilometri orari, un valore molto elevato considerando che si tratta di una velocità media. Velocità che da noi, in Svizzera, possono essere raggiunte raramente e solo in alta montagna, tipicamente in concomitanza di tempeste invernali da ovest. Velocità di oltre 120 km/h possono venir raggiunte anche in pianura, ma solo sotto forma di raffiche temporanee e non certo come valore medio sui 10 minuti. Gli uragani si suddividono poi a loro volte in cinque categorie (scala Saffir-Simpson): si parte dalla prima, con appunto venti medi a partire da 119 km/h, per arrivare alla quinta, gli uragani più distruttivi con venti medi addirittura oltre i 252 km/h. I fenomeni di categoria cinque sono anche chiamati super uragani o super tifoni.”

01:59

Almeno 17 vittime e gravi danni causati dall'uragano Ian

Telegiornale 30.09.2022, 12:30

La nomenclatura: una passione mediatica, ma anche una riduzione dei rischi

Lo sappiamo ormai tutti: gli uragani hanno un nome, che conquistano appunto quando raggiungono lo stadio di tempesta tropicale. Ma perché viene loro affibbiato un nome? “I nomi degli uragani e delle tempeste sono sempre ben voluti dai media, in quanto grazie a un nome si può facilmente far riferimento a un fenomeno meteorologico preciso nel relativo articolo o servizio. Il vero motivo è però un altro: i nomi vengono dati per ridurre il rischio di confusione quando vengono diramati i bollettini di allerta. Durante la stagione di massima intensità e frequenza, possono infatti esserci anche diversi uragani e tifoni contemporaneamente nel mondo; è quindi fondamentale, per la navigazione ma non solo, avere un nome che indichi precisamente una struttura tropicale di questo tipo in una zona precisa”. Nel mondo ci sono undici centri per le allerte degli uragani e sono loro i responsabili della nomenclatura per le rispettive regioni (qui la lista dei nomi utilizzati). Il nome inoltre, una volta assegnato, non viene più tolto, anche se la tempesta si indebolisce e viene declassata a una categoria inferiore. “È anche per questo che ogni tanto questi ‘residui’ di uragani che raggiungono l’Europa hanno ancora un nome, anche se non sono più così intensi.”

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L'uragano Ian fotografato dal satellite nel Golfo del Messico lo scorso 18 settembre

  • NOAA
I cicloni tropicali mediterranei, i temuti “Medicane”

Esiste poi un tipo di ciclone a noi molto più vicino: i cicloni tropicali mediterranei, ribattezzati anche “Medicane” (dall’unione di Mediterranean e Hurricane), un termine però ancora dibattuto a livello scientifico. Di cosa si tratta? “A causa del riscaldamento climatico e di una superficie del mare sempre più calda (quest'anno alcune zone del mar Tirreno meridionale hanno addirittura superato i 30 gradi), le condizioni per la formazione di tempeste simil-tropicali sono presenti anche nel Mediterraneo, anche se non si tratta di veri e propri uragani. È un sistema depressionario che, a differenza degli altri che abbiamo in Europa, ha un cuore caldo. Magari è meno evidente rispetto ai cicloni tropicali veri e propri, ma come loro prende l’energia dalla superficie marina molto calda e dalla condensazione del vapore acqueo, e non dallo scontro di masse d'aria con temperature differenti. La differenza con gli uragani è che non si innesca unicamente con la formazione di cellule temporalesche in assenza di vento, ma spesso si forma per transizione tropicale, ovvero quando una depressione con caratteristiche extratropicali (con fronte caldo e fronte freddo) entra sul bacino del Mediterraneo, tipicamente in autunno o nella prima parte dell'inverno. A causa della presenza di molta energia dovuta alle temperature elevate della superficie marina succede la transizione: i sistemi frontali perdono d’importanza e l’attività temporalesca prende il sopravvento; organizzandosi ulteriormente attingendo energia proprio dal Mediterraneo inizia a roteare formando addirittura un “occhio”.

04:08

Medicanes, gli uragani del Mediterraneo sempre più frequenti

Telegiornale 28.10.2021, 20:00

Si tratta di sistemi molto violenti che di norma causa danni principalmente nel Sud Italia, in Grecia e in tutto il bacino del Mediterraneo orientale. A causa proprio del costante aumento delle temperature superficiali del Mediterraneo, le osservazioni ci indicano che la loro frequenza sta effettivamente aumentando”.

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Un "medicane" che ha flagellato l'isola greca di Zante il 18 settembre 2021

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Uragani e cambiamento climatico: quale relazione?

Se il riscaldamento climatico aumenta la frequenza dei simil cicloni tropicali sul Mediterraneo, cosa si può dire degli uragani veri e propri? “Va fatta una premessa: per rispondere a questa domanda ci basiamo sul documento dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), l’ organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici dove i scienziati revisionano tutte le ricerche scientifiche, e si parla di decine di migliaia di pubblicazioni. Analizzandone cercano di fornire uno “stato dell’arte” e delle osservazioni basate su una validità statistica davvero importante, che possa insomma fornire una vera tendenza. Per quanto riguarda gli uragani si può trovare molta letteratura e si conferma quanto detto per il Mediterraneo: l’estensione (traiettoria) e la durata degli uragani sta aumentando, in particolare nel nord Atlantico. Inoltre gli uragani di categoria superiore (almeno 3) stanno diventando più frequenti, un trend che riguarda proprio quelli più violenti. Su quelli minori, che sono comunque distruttivi, non c’è invece ancora sufficiente solidità statistica per esprimere delle considerazioni. Va però anche detto che in questo ambito siamo confrontati con una variabilità climatica di questi fenomeni molto importante: la prima parte della stagione 2022 ad esempio, nonostante condizioni davvero molto favorevoli per lo sviluppo di uragani (frequenti ed estese ondate di caldo), è stata particolarmente tranquilla, addirittura una delle più tranquille degli ultimi 70 anni. Chiaramente la stagione non è ancora finita e le sorprese sono sempre dietro all’angolo e, se diamo un'occhiata alla mappa fornita dal Centro per gli studi di uragani del servizio meteorologico americano, vediamo che al momento sulla sola zona di loro competenza sono attivi ben quattro sistemi (stato 29.9): due a livello di uragani (Ian e Orlene), una depressione tropicale (Eleven) e un altro disturbo che può diventare una possibile tempesta tropicale, con però meno del 40% di possibilità di formazione.

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Stato di depressioni, tempeste e cicloni tropicali nell'Atlantico il 29.9.2022

  • NOAA
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Le previsioni del NOAA per il Pacifico orientale (stato 29.9)

  • NOAA
La terraferma, la principale nemica degli uragani

“Per fare un paragone, è come se improvvisamente a un treno in piena corsa viene tolta l’elettricità”. Utilizza questa similitudine Luca Nisi per spiegare cosa succede a un uragano quando incontra la terraferma, nemica dei cicloni tropicali che provvede a disintegrarli. “Ovviamente il treno ha una certa inerzia così come ce l’ha anche l'uragano, che può continuare a scatenare la sua forza per anche diverso tempo; in poche parole non svanisce di colpo. Più un uragano è intenso, oppure meno l'uragano si sposterà dalle zone costiere oceaniche, dove magari è ancora a disposizione energia a causa delle temperature elevate della superficie marina, e più impiegherà a indebolirsi. Però solitamente, con quasi tutti gli uragani, si osserva un indebolimento sulla terraferma più o meno rapido. I danni maggiori, navigazione esclusa, vengono registrati sulle isole o sulla terraferma delle zone costiere continentali. I danni non sono però dati solo dal vento e dalle piogge: nelle le zone costiere, l'attrito esercitato dal vento sulla superficie oceanica e soprattutto l'importante e rapida riduzione della pressione al suo centro, fa sì che il livello del mare si alzi. L’atmosfera preme insomma in modo minore sulla superficie del mare e questo, combinato con onde alte stimolate dai venti, produce importanti mareggiate e inondazioni impressionanti, distruttive e spesso, purtroppo, mortali”.

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Devastazione e inondazioni portate da Ian sulla costa della Florida

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Meteorologia: stato dell’arte e allerte

Visto il grande potenziale distruttivo e pericoloso per la vita umana, i cicloni tropicali sono delle strutture studiate in modo approfondito a livello meteorologico. “Gli undici centri si occupano non solo di monitorare la situazione ma, in base alle indicazioni fornite dai modelli numerici, diramano le allerte. Per quanto riguarda la situazione attuale gli enti preposti mostrano in tempo reale la posizione dei vari uragani, delle tempeste tropicali, ma anche delle onde tropicali o depressioni tropicali che si stanno formando nel mondo, e forniscono una previsione a livello di spostamento spaziale di queste strutture, con la relativa incertezza, e la previsione sull'intensità. Diciamo che, a differenza dei temporali che conosciamo sulla regione alpina, strutture più piccole ma in un certo senso anche con una dinamica più caotica, finché l'uragano si trova sul mare, la previsione dell'intensità non dico sia facile, ma è un po’ meno complicata della previsione di altri fenomeni. Sulla traiettoria c’è invece ancora molta incertezza, infatti sulle mappe si vedono dei aree a forma di cono colorate che partono dall'uragano con una spazialità molto limitata. Allontanandosi l’area evidenziata diventa però molto larga, a dimostrazione che l'incertezza della previsione sulla traiettoria è ancora qualcosa di molto difficile e l’incertezza elevata, anche per i modelli numerici”.

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Uragani, dati e record

Il ciclone tropicale più intenso della storia è il Tifone Tip, che è stato registrato nel Pacifico, nelle zone delle Filippine, il 12 ottobre 1979. Ha fatto segnare anche il record di bassa pressione: “Nell’occhio del ciclone è calata fino a 860 millibar, un valore davvero molto basso. Per quanto riguarda la durata o rispettivamente la traiettoria più lunga, entrambi i parametri sono invece detenuti dall'uragano John nel 1994, con 13’280 chilometri coperti: ha interessato praticamente tutte le zone comprese dal Pacifico orientale a quello occidentale.”

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La traiettoria ricoperta dal tifone Tip durante il suo ciclo di vita

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Per quanto riguarda i venti medi registrati, negli uragani più forti hanno superato ampiamente i 252 km/h orari definiti dalla soglia minima per la categoria 5. “Sono già stati raggiunti dei venti medi che addirittura hanno superato i 300 chilometri orari, ma soprattutto - all'interno di queste spirali temporalesche che ruotano attorno al centro - spesso sono stati osservati dei tornado. A livello locale, quindi all’interno dei tornado, come visto nell’ultima puntata di #lameteospiegata, si possono raggiungere addirittura i 500 km/h”.

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Il tifone Tip durante il suo picco d'intensità il 12 ottobre 1979

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La più disastrosa inondazione causata da cicloni avvenne nel novembre del 1970 in Bangladesh, quando un tifone nel Golfo del Pese uccise all'incirca 300’000 persone. Per quanto riguarda i danni, l’uragano considerato più distruttivo è Katrina, che nel Golfo del Messico e sulle coste statunitensi ha provocato nel 2005 disastri per 108 miliardi di dollari. Lo stesso uragano a causato più di 1'800 vittime.

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New Orleans e il suo Super Dome prima e dopo il passaggio di Katrina

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Europa al “riparo”, una condizione destinata a cambiare?

“È una domanda molto difficile alla quale rispondere, ma a livello di osservazioni c'è un preoccupante trend in corso negli ultimi anni-decenni. Bisogna innanzitutto dire che una volta che l'uragano è formato non ha più bisogno di temperature superficiali dell’acqua superiori a 27 gradi, anche se più la temperatura che incontra è elevata e maggiore sarà il carburante a disposizione per durare nel tempo o indebolirsi più lentamente. Con un Atlantico sempre più caldo anche a livello settentrionale, andiamo quindi ad aumentare la probabilità che questi uragani nelle fasi finali si possano spingere verso latitudini maggiori, un dato confermato anche dal rapporto IPCC. Bisogna dire che già nel passato l'Europa occidentale era interessata a tratti da ‘ex uragani’, che arrivavano però molto indeboliti, anche se hanno portato precipitazioni abbondanti sull’Europa, pure a sud delle Alpi”. Ma proprio a causa del riscaldamento dell’Atlantico il nostro Continente potrebbe in futuro essere raggiunto con maggior frequenza e con delle strutture che non ancora hanno perso intensità come lo facevano una volta. “In questo senso basta pensare a febbraio di quest'anno, quando l’uragano Eunice ha raggiunto il Regno Unito e in particolare l'Irlanda, ancora con una struttura tropicale molto pronunciata e quindi accompagnato da venti molto forti, che hanno portato una distruzione importante soprattutto nelle zone costiere. Quello che invece non è ancora mai stato osservato è un uragano in indebolimento in avvicinamento alle coste del Portogallo, che riesce ad entrare dallo Stretto di Gibilterra infilandosi sul Mediterraneo, sarebbe una vera novità. Probabilmente ci sono dei limiti dovuti alla ridotta superficie marina prima del rientro sul Mediterraneo, ma ci sono molte discussioni scientifiche su questo tema e si stanno anche facendo delle simulazioni. I risultati sono ancora pochi, ma di certo sarà un tema di studio nei prossimi anni.”

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Onde impressionanti sulla costa meridionale dell'Inghilterra portate dalla tempesta Eunice

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