Il 26 marzo 2015 cadevano le prime bombe sulla città di San’a. A distanza di due anni questo conflitto non accenna a concludersi con una tregua effettiva o con un processo di pace. Sul campo, il governo lealista di Abdo Mansour Hadi, sostenuto dal Consiglio di Cooperazione del Golfo a guida saudita, si scontra ancora con i ribelli del Nord, gli houti, finora alleati dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, graditi all’Iran. La linea del fuoco spacca ancora a metà il Paese, sulla città di Ta'izz. A completare un quadro di guerra molto difficile, si aggiungono altri fronti interni, dove le milizie presenti sul terreno hanno il controllo di una porzione di territorio: tra queste ci sono il movimento di liberazione del Sud al-Hirak, Aqap (al Qaeda della Penisola Arabaica) e le province (wilayat) dello Stato islamico.
Finora il conflitto ha fatto più di 7'000 morti e 43'000 feriti tra i civili con bombardamenti anche su fabbriche, matrimoni, funerali, scuole e ospedali. E dove la morte non arriva con le bombe, arriva con le malattie e la fame. Mancano i beni di prima necessità, le medicine, l’ossigeno, gli strumenti per curare i pazienti. Medici e infermieri non ricevono lo stipendio da più di cinque mesi. Il sistema-Paese è al collasso.
In uno stato di totale isolamento, lo Yemen sta conoscendo la crisi più grave della sua storia: secondo le agenzie delle Nazioni Unite (World Food Programme) 1 milione e mezzo di bambini è malnutrito e la metà della popolazione (gli yemeniti nel Paese sono 18milioni di persone) conosce i morsi della fame. Altri 370mila bambini sono a rischio malnutrizione: una situazione che Meritzell Relano, rappresentante dell’Unicef in Yemen, definisce “catastrofica”.
Laura Silvia Battaglia