Prima la meteorologia, ora la climatologia. Se tra il 2022 e il 2023 vi abbiamo proposto una lunga e dettagliata serie di approfondimenti dedicati alla meteorologia, con la serie #lameteospiegata, ora giunge il tempo – per restare in tema – della climatologia. In cinque puntate testuali, accompagnate da un video social, cercheremo di meglio capire la scienza che studia il clima e la sua evoluzione nel tempo. Ci occuperemo dei suoi concetti e dei suoi strumenti, sempre con un occhio di riguardo verso la nostra realtà vicina, e inevitabilmente – anche se non sarà il focus centrale – di cambiamenti climatici passati e attuali. A guidarci, come già per la serie precedente, sarà il meteorologo di Locarno-Monti Luca Nisi.
Climatologia vs. meteorologia
“La meteorologia si occupa del tempo meteorologico a breve termine, mentre la climatologia studia gli eventi meteorologici tipici di una regione sul lungo termine, quindi lavora piuttosto a livello statistico. Quest’ultima è la scienza che studia il clima e grazie ad essa possiamo conoscere le condizioni meteorologiche tipiche che ci possiamo attendere in un dato luogo sulla terra. In questo campo si lavora soprattutto a livello di medie dei parametri meteorologici, che tra l’altro sono gli stessi che vengono considerati nella meteorologia. La differenza è che in meteorologia facciamo una previsione del tempo e quindi di questi parametri per le prossime ore e per i prossimi giorni, mentre la climatologia va a studiare come sono stati osservati questi parametri in una data regione su un periodo lungo, per poi a sua volta formulare delle previsioni future attraverso i modelli e gli scenari climatici”.
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Un esempio di studio climatologico sulle temperature della Svizzera
A livello di definizione dell’Organizzazione meteorologica mondiale, questo lungo periodo è identificato con uno spazio temporale di almeno 20-30 anni, anche se la quasi totalità dei servizi meteorologici utilizza di norma un periodo di 30 anni come riferimento metodologico. “Facendo un esempio, possiamo dire che la temperatura che varia di minuto in minuto in una data stazione – può essere quella di Lugano come quella di Piotta per restare vicini - è meteorologia, mentre lo studio o l’analisi della temperatura media che Lugano o Piotta hanno avuto durante il mese di settembre durante gli ultimi 30 anni fa parte della climatologia. Insomma, per ridurre all’osso: la climatologia si differenzia dalla meteorologia per l’orizzonte temporale e considera periodi più lunghi per identificare le caratteristiche meteorologiche tipiche di una data regione. Ma anche gli scopi sono differenti; la climatologia mira a comprendere le tendenze, le variazioni o i cambiamenti del clima, mentre la meteorologia cerca di prevedere le condizioni atmosferiche immediate.
La confusione crea false percezioni
Quando si parla di meteorologia e climatologia, spesso le persone confondono le due cose, come si può osservare ad esempio sui social media, dando adito a polemiche e contestazioni anche in relazione ai cambiamenti climatici. Ma come vivono i meteorologi questa confusione, che non di rado va a incidere sul dibattito pubblico? “In effetti anche da noi, al Centro Previsioni Sud di MeteoSvizzera a Locarno Monti, notiamo che ogni qualvolta che il tempo meteorologico si discosta in modo importante dalla norma, possono essere delle ondate di caldo, di freddo, delle precipitazioni intense o dei periodi di siccità prolungati, ecco che puntualmente il fenomeno meteorologico viene confuso con la questione climatologica. I motivi sono molteplici, ma spesso abbiamo l’impressione che derivi dalla poca conoscenza della materia, quindi senza altri scopi e con poche conseguenze. Ogni tanto però abbiamo avuto anche noi in Svizzera dei casi – e li abbiamo tuttora – dove la confusione viene strumentalizzata per rafforzare le proprie idee sia in una direzione che nell’altra e, non da ultimo, anche a scopi politici”.
Perché la scienza non è un’opinione…
Millevoci 07.01.2020, 11:05
Contenuto audio
Senza scomodare il tema dei cambiamenti climatici, anche in questo caso può tornare utile l’esempio precedente delle temperature. “Qualche anno fa, nel 2019, è capitata un’ondata di caldo in giugno, in concomitanza con una corrente favonica, che ha fatto registrare una temperatura di 35 gradi a Piotta, a 1000 metri di quota. Questa è chiaramente meteorologia. Se infatti dovessimo rispondere a un turista interessato a visitare l’Alta Leventina in giugno che ci chiede che temperatura massima si può aspettare per capire come vestirsi, non potremmo certo dirgli che ci attendiamo 35 gradi, perché nel caso appena menzionato si è trattato di una condizione momentanea molto particolare. Dovremmo invece dirgli che la temperatura massima di Piotta per il mese di giugno è sui 23-24 gradi, decisamente molto più bassa rispetto a quella misurata nel 2019. Questo per far capire che la confusione tra meteorologia e climatologia è molto pericolosa perché porta a delle conclusioni palesemente errate in modo molto rapido”.
Canicola, giornata da record
Telegiornale 27.06.2019, 22:00
Un po’ di storia, da Aristotele a…Von Humboldt
Percorrendo a ritroso il viale della storia, si può dire che la climatologia moderna è nata solo nel diciannovesimo secolo, anche perché per formulare delle analisi era prima di tutto necessario avere delle serie di dati registrati uniformemente (stessi posti, stessi parametri, stessi strumenti). Le basi dello studio del clima sono state però gettate ben prima: “Possiamo partire addirittura dall’antichità citando sicuramente Aristotele che, nel 350 a.c. – quindi oltre 2’300 anni fa –, con il suo trattato di meteorologica, analizzò i fenomeni atmosferici in modo più o meno dettagliato. Anche se non si trattava ancora di una climatologia vera e propria, si può certamente considerare come la prima riflessione sistematica sui fenomeni atmosferici alla ricerca di regole e di ripetizioni dei fenomeni. Facendo poi un salto avanti, durante il Medioevo e il Rinascimento l’interesse per il clima fu piuttosto limitato e legato principalmente alle esplorazioni geografiche del mondo: gli esploratori tornavano infatti con esperienze e osservazioni di eventi meteorologici e condizioni climatiche molto differenti dai nostri. Nuove conoscenze che pure possiamo considerare precorritrici dei primi veri studi climatologici nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, spinti anche dall’arrivo di strumenti come il termometro e il barometro, con meriti quindi da attribuire anche Galileo e Torricelli. Oltre a migliorare lo studio dell’atmosfera in un dato momento, gli strumenti hanno infatti permesso di avere le prime serie di dati da cui iniziare a trarre delle deduzioni analizzando i valori su più giorni, settimane e anni”.
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Il trattato aristotelico
È solo nel diciannovesimo secolo però che la climatologia si affermò come disciplina separata dalla meteorologia, soprattutto grazie ad alcuni studiosi, in particolare al naturalista e geografo tedesco Alexander von Humboldt (1769-1859) -, che fu il primo a descrivere le connessioni tra i fenomeni atmosferici e le varie zone (fasce climatiche), ma anche con la geografia e la biodiversità. “La climatologia si consolidò poi come disciplina a sé stante nel ventesimo secolo, accompagnata da una sempre maggiore capacità di raccogliere e analizzare i dati atmosferici su larga scala. Un altro balzo avanti fu fatto negli anni ’50-’60 del ‘900, quando lo sviluppo dell’informatica diede impulso allo sviluppo dei primi modelli climatici e segnò la nascita della climatologia moderna. A partire dagli anni ’70-’80 il tema dei cambiamenti climatici s’impose poi come centrale: la disponibilità di dati iniziava ad essere abbondante e i ricercatori avevano sotto gli occhi i primi fenomeni correlati, anche se in realtà la connessione tra aumento della CO2 e riscaldamento globale fu ipotizzato già nella seconda metà del 1800”. Svante Arrhenius (1859-1927) fu infatti il primo a calcolare l’effetto dell’anidride carbonica sul riscaldamento dell’atmosfera e nel 1896 ipotizzò che un aumento della concentrazione della CO2 potesse causare un riscaldamento globale. In seguito Guy Stewart Callendar (1898-1964) consolidò l’ipotesi di Arrhenius sull’effetto serra e nel 1938, fu uno dei primi a collegare l’aumento della concentrazione di CO₂ nell’atmosfera con l’aumento delle temperature globali. Charles David Keeling (1928-2005) misurò poi con precisione i livelli di CO₂ nell’atmosfera a partire dagli anni ’50 (curva di Keeling). E per terminare la carrellata di nomi non si può non citare James Hansen, nato nel 1941 e tuttora in vita, che fu uno dei primi a sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli del cambiamento climatico, ma anche Vladimir Köppen (1846-1940) che ideò il sistema di classificazione climatica Köppen utilizzato ancora oggi. “Nella fase più moderna la climatologia è diventata poi sempre più complessa e si è suddivisa in più campi di studio: da quello sui cambiamenti climatici, passando per la paleoclimatologia, la climatologia fisica o quella dinamica fino alla climatologia statistica, oltre a molti altri aspetti che avremo modo di approfondire nei futuri appuntamenti”.
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Le fasce climatiche introdotte da Köppen
Cinque parametri per suddividere il clima
Le suddivisioni e la classificazione del clima si basa principalmente su cinque aspetti tra parametri meteorologici e geografici: la temperatura (temperature medie annuali e mensili), le precipitazioni durante l’anno (quantità tipiche su una data regione, sia liquide che solide), la stagionalità (in alcune zone più marcata come alle medie latitudini, in altre praticamente assente come all’equatore), i venti assieme alla circolazione atmosferica e infine l’altitudine e l’orografia. “Questi cinque parametri determinano in modo grossolano già una prima divisione del clima. A livello mondiale abbiamo poi tre metodi principali di suddivisione, tra cui il più utilizzato è la già citata classificazione climatica di Köppen, che suddivide tutti i climi della Terra in cinque gruppi principali: climi tropicali, aridi, temperati, continentali e polari. All’interno di queste cinque classi abbiamo poi delle sottocategorie e scendendo ancor più nel dettaglio ci si potrebbe dilungare a dismisura arrivando a toccare diverse decine di sottoclassi. Basti pensare che anche già solo il piccolo Ticino ha più di una sottoclasse di Köppel. Le altre due classificazioni sono invece quella di Thornthwaite e quella di Trewartha, basate su altri elementi: la prima contempla soprattutto il bilancio idrico e la evapotraspirazione, mentre la seconda è simile a quella di Köppel, ma con alcune modifiche per meglio rappresentare i climi delle regioni temperate subtropicali. Poi a livello europeo abbiamo comunque delle altre classificazioni più locali, in passato anche a livello svizzero, ma a livello globale sono queste tre a farla da padrone”.
A determinare e influenzare il clima di una regione, oltre ai parametri geografici e meteorologici citati, sono però anche altri aspetti come la presenza pronunciata di un tipo specifico di suolo e flora – un deserto, una steppa o una tundra per esempio - e la presenza di specchi d’acqua, siano essi un oceano, un mar Mediterraneo, un lago come il Verbano o fino anche un piccolo laghetto alpino come il Cadagno “che può arrivare a modificare il microclima adiacente rendendolo differente da zone simili più distanti dallo specchio d’acqua”.
Il lago di Cadagno meromittico
RSI Info 08.07.2024, 14:34
I modelli climatici
Riallacciandoci alle differenze tra meteorologia e climatologia, ma spostandoci sui modelli, il primo aspetto da rilevare è i modelli climatici numerici sono molto differenti da quelli che vengono utilizzati per le previsioni del tempo, pure numerici, ma con scale spazio temporali molto differenti. “Per quanto riguarda i primi si tratta di rappresentazioni matematico-fisiche del sistema climatico terrestre, che simulano e prevedono l’evoluzione del clima nel tempo. Con un modello climatico non possiamo fare previsioni meteorologiche, ci dirà invece come varierà ad esempio il clima della Svizzera a sud delle Alpi nei prossimi decenni o secoli. Come i modelli matematici, anche questi utilizzano delle equazioni molto complesse, che comportano anche a un certo grado d’incertezza, per descrivere le interazioni tra atmosfera, oceani, ghiacciai, vegetazione e superficie terrestre. Chiaramente uno dei parametri principali sono anche le emissioni di gas ed effetto serra (CO2 in primis), sia naturali sia dovute all’attività umana. Il modello climatico rappresenta quindi l’intero sistema climatico terrestre, con la superficie e l’atmosfera suddivise su un insieme di celle e griglie tridimensionali di dimensioni differenti. Ci sono infatti modelli su una scala più larga e altri su una scala più piccola. Ogni cella viene poi “data in pasto” alle equazioni fisiche per simulare i processi che avvengono, come l’andamento della temperatura, la pressione, l’umidità, la velocità del vento, un po’ come avviene nei modelli meteorologici, considerato che entrambi si basano sulle leggi fisiche fondamentali (leggi della termodinamica, la conservazione della massa, la conservazione dell’energia e la dinamica dei fluidi). I modelli climatologici però non mi diranno come sarà la temperatura massima a Lugano il 13 marzo 2050, piuttosto simuleranno su un periodo di 30 anni la temperatura media di quel periodo rispetto a quella del periodo attuale. Sono insomma modelli che mostrano eventuali cambiamenti di stato rispetto allo stato attuale o passato”.
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Una resa grafica che con i soli colori illustra l'andamento delle temperature negli ultimi 150 anni
Per quanto riguarda la tipologia di modelli climatici se ne individuano principalmente due. Ci sono prima di tutto i modelli di circolazione generale (Genreal circulation model – GCM), che sono quelli più dettagliati e complessi che simulano l’interazione tra atmosfera, oceani, dinamica dei venti, ciclo idrologico e il trasferimento di energia tra tutte queste sfere: sono molto utili per fare previsioni globali proprio sul lungo periodo. “Se però vogliamo andare a vedere come cambia il clima a livello più locale, dobbiamo allora servirci di modelli climatologici regionali, come quelli che stanno ad esempio alla base degli scenari climatici futuri per la Svizzera, presentati nel 2018 e che verranno aggiornati l’anno prossimo. Questi modelli hanno una risoluzione spaziale più dettagliata – con celle e griglie più dense – e cercano di catturare i fenomeni climatologici che i GCM non riescono a rappresentare a causa della loro risoluzione inferiore. Nella pratica poi spesso questi due tipi di modelli vengono accoppiati. In climatologia abbiamo anche dei modelli semplificati o di bilancio energetico, che rappresentano un sistema climatico in modo meno dettagliato e si concentrano soprattutto sul bilancio energetico complessivo della Terra. Abbiamo infine anche i modelli accoppiati, che sono molto specifici su un due parametri, per esempio atmosfera-oceano, oceano-criosfera, criosfera-biosfera, … vengono utilizzati per simulare in modo molto dettagliato e completo l’interazione tra questi tra questi elementi”.
Il Clima che cambierà la Svizzera
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Contenuto audio
Nuovi scenari climatici per la Svizzera
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Un ulteriore aspetto che differenzia i modelli climatologici da quelli meteorologici è la presenza dei processi di retroazione, per una volta forse più comprensibili con il termine inglese feedback, che possono essere positivi o negativi. “Per fare ancora una volta un esempio, un feedback positivo riguarda ad esempio l’effetto albedo, ovvero la capacità di riflessione: al momento abbiamo – pensando in particolare ai poli – un’estensione dei ghiacci che, seppur in riduzione, è ancora abbastanza importante. Nel modello climatico, con il riscaldamento globale in corso, bisognerà quindi prevedere che questa estensione diminuirà, andando a diminuire la superficie bianca e la capacità di riflessione dell’energia al di fuori dell’atmosfera terrestre, aumentando ulteriormente l’energia solare che rimarrà “intrappolata” nella nostra atmosfera contribuendo ulteriormente al riscaldamento. Per questo si dice positivo. Al contrario, l’aumento della temperatura degli oceani e dei mari è da considerarsi un feedback negativo, che pure va implementato nel modello. Con acque più calde avremo infatti più evaporazione e un aumento della copertura nuvolosa e, in particolare quella più spessa a media e bassa quota, può riflettere maggiormente l’irraggiamento solare nello spazio andando a ridurre il riscaldamento, per questo è un feedback negativo. D’altro canto, l’aumento di temperatura degli oceani diminuirà la capacità da parte loro di assorbire CO2…in questo caso avremo nuovamente un feedback positivo. Di feedback ce ne sono moltissimi, in parte ancora non perfettamente conosciuti, che potrebbero rappresentare un aiuto e un’ulteriore difficoltà ai processi di mitigazione. Possiamo sicuramente affermare che un buon numero di ricercatori sta dando molta importanza allo studio di questi processi.
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Grafico con l'evoluzione delle temperature secondo gli scenari prodotti dai modelli
Se non venissero introdotti e ponderati questi aspetti ci sarebbero delle importanti sovra o sottostime ad esempio dell’evoluzione della temperatura media. C’è infine un ultimo aspetto molto importante che riguarda i modelli climatici: gli scenari di emissione. Mi spiego: se si imbocca una protezione del clima netta e solida – rispettando quindi gli Accordi di Parigi –, o se invece si andrà ad aumentare le emissioni in futuro, potete facilmente immaginare che con i due scenari le simulazioni dei modelli porterebbero a dei risultati molto differenti, per questo spesso vengono prodotti scenari differenziati proprio da questa variabile. Variabile che non è però data dalla climatologia, ma principalmente dalla politica, dall’economia e dalle scelte future… il che complica un po’ il tutto” conclude Nisi.
Insomma, se la meteorologia è un mondo complesso – come visto nella serie #lameteospiegata –, anche perché contiene fenomeni atmosferici caotici difficili tutt’oggi da simulare con i modelli numerici, stiamo scoprendo che la climatologia non è da meno, oltre ad essere una scienza destinata a importanti sviluppi anche nei prossimi decenni. Alla prossima puntata!
https://rsi.cue.rsi.ch/info/svizzera/Clima-la-Svizzera-deve-adattarsi--1116572.html
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