Scienza e Tecnologia

L’intelligenza artificiale scriverà questo articolo? 

A Losanna oltre quattrocento professionisti da tutto il mondo si sono incontrarti per discutere del futuro dei media. Vi raccontiamo com’è andata 

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Media e intelligenza artificiale: cosa ci attende?

Il giardino di Albert 11.01.2025, 18:00

  • iStock
Di: red. giardino di Albert/Matteo Martelli  

Sullo schermo gigante dell’auditorium del Millenium, moderna sala congressi da circa 500 posti a sedere a due passi dal centro di Losanna, appare una domanda: “Credi che l’impatto dell’intelligenza artificiale sui media sia sopravvalutato?”. Si apre così il secondo vertice dedicato all’intelligenza artificiale nei media organizzato dall’EBU, Unione Europea di Radiodiffusione, lo scorso mese di dicembre. Il pubblico vota da app, e la voce si leva quasi unanime: l’85% dice che no, l’intelligenza artificiale è una cosa seria, e come tale va affrontata. Fin qui le certezze; ciò che segue, è un rincorrersi di ipotesi più o meno azzardate, in un contesto dove i rapidi mutamenti degli strumenti tecnologici legati all’IA non consentono a nessuno di sbilanciarsi proferendo verità assolute. “Non conosciamo le risposte, e forse non siamo nemmeno sicuri di quale sia la domanda”, spiega Anna Lagerkranz, direttrice di SVT, televisione pubblica svedese, fra i molti esperti e leader nel settore presenti in qualità di relatori.

EBU AI Summit - Anna Lagerkranz

Anna Lagerkranz, direttrice di SVT, televisione pubblica svedese, durante il suo intervento.

  • EBU/Marc Bader

Ma facciamo un passo indietro: cosa si intende per intelligenza artificiale nei media? “L’IA è usata nel giornalismo già da qualche tempo, in particolare nella gestione di risultati sportivi o elettorali”, ci spiega Alexandra Borchardt, giornalista e studiosa dei media, autrice del rapporto 2024 dell’EBU dedicato alla fiducia nel giornalismo nell’era dell’intelligenza artificiale. “A segnare una svolta, però, è la cosiddetta intelligenza artificiale generativa. In particolare, una data: il 30 novembre del 2022, giorno di uscita di ChatGPT, sviluppato da OpenAI, che per sempre segnerà un prima e un dopo nel mondo dei media, proprio come è stato per l’arrivo di internet, dei social media o degli smartphone”. Con una differenza: se le precedenti rivoluzioni hanno modificato i canali di distribuzione, l’intelligenza artificiale generativa sta stravolgendo dall’interno la produzione di contenuti, grazie alla possibilità di generare testi, immagini e video automaticamente.

D’altronde, “l’intelligenza artificiale generativa si basa su una previsione”, prosegue l’esperta. “Quale parola è più probabile che debba seguire in una frase? Il risultato può apparire credibile, perché frutto di una raccolta di informazioni recuperate dalla rete. Ma questo non ha nulla a che vedere con la verità”. Ed è qui che iniziano i problemi, perché se il giornalismo ha l’ambizione di raccontare la realtà, o perlomeno di descriverla nella maniera più corretta e oggettiva possibile, strumenti tecnologici di questo tipo poco hanno a che vedere con la sua deontologia professionale. “Da nostre indagini, Chat GPT ha ancora un tasso di inaccuratezza del 30%. Se questo può essere accettato dal pubblico ad esempio nei sottotitoli automatici, ciò non può accadere nei contributi giornalistici”, spiega nel suo intervento Peter Archer, direttore dei programmi di IA generativa della BBC.

EBU Summit AI - Alexandra Borchardt

La giornalista Alexandra Borchardt (seconda da sinistra) è intervenuta accanto a Laurent Frisch (Radio France) e Ezra Eeman (NPO)

Oggi il 75% delle aziende di servizio pubblico radiotelevisivo in Europa fa già utilizzo dell’intelligenza artificiale. Di queste, un terzo è in fase sperimentale, il resto l’ha già implementata nei flussi di lavoro, dove la presenza del cosiddetto “human in the loop”, come lo definisce Alexandra Borchardt, resta indispensabile: “anche nel caso di generazione automatica di contenuti, è necessaria la presenza umana di controllo e verifica delle informazioni. Altrimenti, il rischio è che le aziende mediatiche perdano la fiducia del proprio pubblico”.

Insomma, ci avviciniamo pericolosamente a un futuro distopico in cui saranno le macchine a sostituire i giornalisti dietro a una telecamera, un computer o un microfono? Non esattamente. “Prendiamo ad esempio i lavori più ripetitivi di pubblicazione, oggi ricoperti da persone in carne ed ossa. Se riusciamo ad automatizzare certi processi, i giornalisti potranno dedicarsi a lavori di approfondimento che richiedono un contatto diretto con le persone”, precisa Alexandra Borchardt. E questo non si traduce necessariamente in tagli al personale. Secondo Stéphane Sitbon Gomez, direttore dei programmi di France TV, “chi crede che l’IA ridurrà i costi nei media, si sbaglia”, e prosegue: “la trasformazione che stiamo vivendo richiede un forte investimento nello sviluppo di nuove competenze, a partire da quelle dei manager”. D’altronde, lo stesso è accaduto con la rivoluzione digitale: il New York Times ha più impiegati oggi di un tempo, e nuovi ruoli hanno sostituito posizioni nel frattempo non più attuali.

11:49

Compiti linguistici e di ricerca con l’IA

Alphaville 31.10.2024, 11:05

  • Reuters

Come cambierà quindi l’informazione del futuro? Sarà più locale e personalizzata, sempre secondo Alexandra Borchardt: “Sarà possibile portare le notizie su una scala di maggiore prossimità, cosa finora non sostenibile dal punto di vista economico”. È quello che già ha fatto nell’estate del 2023 NewsCorp in Australia, producendo grazie all’intelligenza artificiale oltre 3000 articoli alla settimana per 75 testate locali su temi legati alle condizioni del traffico, le previsioni del tempo, i prezzi della benzina o i necrologi. La personalizzazione sarà invece garantita dall’adattamento automatico dei contenuti in funzione dello spettatore: “Sarà possibile trasformare un testo in un video, magari anche in una graphic novel, per aumentare il raggio d’azione del giornalismo verso nuovi pubblici, che siano giovani o anziani, con linguaggi mirati. Vedo molte opportunità”.

Quindi solo buone notizie all’orizzonte? A frenare gli entusiasmi a metà giornata ci ha pensato lo storico israeliano Yuval Noah Harari, che in un breve collegamento in diretta ha invitato i presenti a riflettere su quanto l’intelligenza artificiale stia già permeando ogni ambito dell’informazione. “Durante lo scorso secolo, i direttori delle testate avevano grande potere e influenza politica e sociale. Oggi non conosciamo più i loro nomi, perché sostituiti dall’intelligenza artificiale. Pensiamo a Facebook, Twitter, TikTok. Chi controlla le nostre conversazioni, quello di cui la gente parla, sono algoritmi, intelligenze artificiali”. In questo contesto, i media, specie quelli di servizio pubblico, hanno una grande responsabilità. Prosegue Harari: “il dibattito su come sviluppare l’IA deve essere esteso a tutti, e non rimanere nelle mani di pochi imprenditori non eletti dal popolo”.

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Lo storico Yuval Noah Harari durante il suo intervento in collegamento da Dubai

  • Marc Bader/EBU

In un susseguirsi di concetti chiave come “trasparenza”, “linee guida”, “uso etico dell’AI” e “proprietà intellettuale”, la giornata volge al termine con più interrogativi che risposte. Uno fra tutti, spicca in testa a questa pagina: l’intelligenza artificiale sostituirà davvero il sottoscritto? Le parole della studiosa Alexandra Borchardt sono tutto sommato rassicuranti: “Il pubblico, oggi come domani, desidererà sempre essere informato sui fatti. Continuerà a cercare narrazione e scoperta. Il giornalista, dal canto suo, dovrà sempre di più recarsi sul campo, parlare con le persone, anche per far fronte ai rischi della manipolazione delle immagini (il cosiddetto deepfake, ndr). Avere qualcuno che segua e racconti la realtà con i propri occhi, sarà sempre di più necessario”. Un’occasione per il giornalismo, dunque. Cerchiamo di non farcela sfuggire.

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I.A.: Essere o non essere - Gioventù: l'età dell'apprendimento (1/3)

Grandi Doc 06.10.2024, 21:55

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