Il nome di Roberto Trotta mi è giunto per la prima volta all’orecchio nel 2009 in occasione della preparazione di una puntata del giardino di Albert. Appena entrato a far parte della redazione, non senza mille inquietudini, proposi due servizi che parlavano del bosone di Higgs, di sonde e di telescopi spaziali. Mancava l’intervistato. Proposi quindi il nome di un giovane cosmologo di origine locarnese, trapiantato a Londra presso l’Imperial College. Il produttore acconsentì e così accogliemmo Roberto Trotta nel nostro studio. Pur riconoscendo la competenza dell’ospite e la rilevanza del tema cosmologico, il produttore temeva una scarsa risposta del pubblico. Per farla breve, la puntata fu un vero successo. Il merito fu di tutti, certamente, ma ancora oggi sono convinto che il talento e la verve di divulgatore di Trotta fu l’arma segreta per incollare migliaia di spettatori allo schermo. E se nel 2009 l’allora trentaduenne docente di astrofisica era quel si dice “un astro nascente”, oggi può vantarsi di gareggiare nella corte dei grandi divulgatori scientifici del calibro di Brian Cox, Paul Davies o, in Italia, Amedeo Balbi.

Roberto Trotta
Dopo la lunga permanenza in terra britannica – dove mantiene comunque una posizione di visiting professor in astrostatistica - Roberto è ora a Trieste, dove è stato nominato professore di fisica teorica alla SISSA: la prestigiosa Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati. Master all’ETH di Zurigo, dottorato all’Università di Ginevra, poi Università di Oxford, Imperial College e Gresham College a Londra, affiliato a società astronomiche tra le più importanti al mondo, una valanga di pubblicazioni scientifiche, numerosissimi riconoscimenti e onorificenze, conferenze, inviti a programmi radiofonici e televisivi … il curriculum di Roberto Trotta non a caso conta ora una trentina di fittissime pagine, destinate solo ad aumentare velocemente.
Roberto è un divulgatore nato: non v’è alcun dubbio. Alcuni lo definirebbero uno storyteller particolarmente ispirato. Non a caso il suo ultimo libro – di cui vi voglio parlare qui sotto – è stato nominato Book of the Week dalla BBC (Radio4), attirando l’attenzione di centinaia di migliaia di curiosi lettori britannici. Sì, perché va detto che Il cielo stellato sopra di noi (Il Saggiatore, Milano), in uscita in questi giorni in tutte le librerie, altro non è che la traduzione italiana di un successo editoriale con radici profondamente anglosassoni. Con il titolo Starborn, il libro è stato in origine pubblicato da Basic Books (New York) nel 2023 e distribuito in seguito in tutti i paesi anglofoni. È disponibile anche in spagnolo e presto verrà tradotto e pubblicato in coreano e in cinese. Anglosassone? Sì. La sapiente e accurata traduzione italiana curata da Luisa Doplicher and Daniele A. Gewurz tradisce tutto sommato l’acquisito substrato british di Roberto nel suo modo di interfacciarsi con i propri lettori. Nel solco di una tradizione narrativa scientifica di stampo britannico, l’affabulazione di Trotta ricorda il modo di procedere di autori di bestsellers come Ian McEwan di Invito alla meraviglia o Merlin Sheldrake di L’ordine nascosto. Ne emerge un testo ricco, a tratti erudito, ma mai gratuitamente ostentato. Trotta prende per mano il lettore in uno spazio narrativo costellato – è proprio il caso di dirlo – di una cultura umanistica che è soltanto apparentemente parallela a quella scientifica. In realtà la storia, l’arte, la filosofia, l’antropologia o l’etnologia vengono poste in un costante dialogo con l’universo della scienza: lì dove l’autore si sente chiaramente a proprio agio, senza però mai dare l’impressione che si tratti di una comfort zone, al di fuori della quale ci sarebbe un certo impaccio nel mettere in relazione numeri, diagrammi e calcoli con le vicende di un’Umanità permeata di emozioni, di sentimenti e fastidi di una quotidianità banale e spesso meschina. Ebbene quell’impaccio non solo non esiste, ma al suo posto vi si scorge piuttosto l’abile dimestichezza nell’intrecciare la materia umanistica con quella scientifica. La prosa di Roberto Trotta assume spesso una sorta di movimento drammaturgico di amplificazione, dove il lettore viene dapprima coinvolto in un’atmosfera intima, raccolta, circoscritta e poi gradatamente è lasciato libero di aggirarsi nelle pieghe più ampie e universali dei grandi avvenimenti o delle grandi scoperte. Riferimenti e citazioni sono sempre funzionali a un racconto volto a suscitare quello stupore, che ti sprona ad avanzare per saperne di più. Grazie a una maniacale cura di un’aneddotica - anche personale - ad ogni inizio di capitolo, Trotta ci ricorda quello che lui è: uno scienziato, certo, ma anche un ragazzo che non esita a sporcarsi le mani di terra, che si commuove, che ama, che si indigna e che vuole contagiare ognuno di noi con la sua inguaribile curiosità.

Come parlare qui dei contenuti di Il cielo stellato sopra di noi senza spoilerare il piacere di lettura di chi affronterà il lungo percorso del libro? Mi limiterò a dare qualche indizio e qualche highlight di rilievo. Fin dall’inizio, l’opera di Trotta si propone come un viaggio intimo, malgrado il respiro a tratti enciclopedico di taluni passi. Il prologo è ben riassunto da Trotta in un’intervista dell’anno scorso rilasciata alla trasmissione radiofonica “Living on Earth” diffusa da 250 stazioni della Public Radio in tutti gli Stati Uniti:
«(…) è una storia di come molti, molti anni fa in una notte buia nella mia natia Svizzera, avevo un appuntamento e il mio appuntamento e io eravamo fuori per una serata a teatro e stavamo tornando a casa a piedi. E poi ci è capitato di guardare entrambi il cielo in un momento molto speciale in cui è successo qualcosa di veramente magico. È stato un meteorite, o quella che sia chiama una stella cadente. Sembrava essere il momento perfetto e romantico che ha fatto scattare qualcosa che era nell’aria ma che non si era ancora catalizzato del tutto. E molti anni dopo, quando ho iniziato a riflettere sulla mia storia personale, mi sono ritrovato a guardare negli occhi di mia moglie e ho visto la stessa identica stella cadente riflessa lì ancora, perché 25 anni dopo quell’appuntamento era diventato mia moglie! E non so se sarebbe stata la stessa storia se quella stella cadente non fosse caduta proprio quella notte in quel momento, in quella circostanza, la quale in un qualche modo ha davvero portato un po’ di magia all’intera vicenda e ha decisamente cambiato il corso della mia vita.»
Il libro riprende a grandi linee l’ipotesi del grandissimo fisico e filosofo francese Henri Poincaré:
Vi figurate quanto l’umanità sarebbe più piccola se, sotto un cielo costantemente coperto di nuvole, come deve essere quello di Giove, avesse eternamente ignorato gli astri? Credete che, in un simile mondo, saremmo ciò che siamo?
Henri Poincaré, Valore della scienza, Flammarion, 1900
Da questo presupposto inizia il periplo di Roberto Trotta attorno a un’Umanità “fortunata” proprio perché ha potuto godere degli astri e della volta celeste. Ma se non ci fossero stati? Magari oggi ci saremmo noi nella bacheca del Natural History Museum di Londra dedicata alla rappresentazione di Homo neanderthalensis. Già, perché con un pizzico di ammiccante speculazione, il nostro autore si chiede se la chiave di volta del successo e dell’affermazione di Homo sapiens non sia proprio da ricondurre alla sua particolare attenzione rivolta agli astri.

Museo Neanderthal Düsseldorf
Per millenni, i movimenti delle costellazioni, le cinque “stelle erranti” (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno), la Luna, il Sole e occasionali comete e meteore hanno avuto un profondo significato. Hanno governato orologi, calendari, stagioni, viaggi, guerre, semina, raccolti e festività e sono stati la base del mito e della religione. Mentre i dèi minori abitavano boschi e caverne, quelli grandi vivevano lassù in alto nel firmamento. Non v’è cultura che non abbia provato un senso di meraviglia guardando verso le stelle. Trotta ci racconta il lungo percorso dell’Umanità avendo cura di distinguere i periodi storici, ma il suo incedere è dettato in gran parte da un sottile movimento tra il mondo “sommerso”, coperto dalle nebbie e quello aperto sul cosmo. Sorvola tangenzialmente il Big Bang, strizza l’occhio a nebulose e galassie disseminate nell’universo ma senza seguire una cronologia rigorosa e prevedibile. Per contro si ferma regolarmente per raccontare eventi in una cultura immaginaria su un pianeta in cui le nuvole nascondono permanentemente il cielo.
Giocoforza, anche l’astrologia fa capolino nell’opera di Trotta. Nella puntata Astronomi o Astrologi? del giardino di Albert – a colloquio con Christian Bernasconi – Roberto ci anticipa a grandi tratti la maniera con cui affronta il tema apparentemente anodino di oroscopi e temi astrali. Da un cosmologo ci si aspetterebbe uno sguardo perlomeno sardonico sull’astrologia. E invece ne emerge la visione di un uomo colto, sensibile e attento. Al di là dei gustosi aneddoti storici distillati con pertinenza e un pizzico di humor, Trotta ci rende attenti prima di tutto sul significato etimologico di astrologia, cioè «studio delle stelle» – a differenza dell’astronomia che significa «disposizione delle stelle». Da questo dato di fatto, egli ci conduce in un universo parallelo, dove ovviamente nessuno pretende che gli astri siano in grado di influenzare le vicende umane e il libero arbitrio, ma dove simboli, psiche e conoscenza hanno plasmato il genere umano traghettandolo in una consapevolezza altrimenti inimmaginabile senza l’astrologia.

Il cerchio del libro si chiude riprendendo in maniera quasi traslata l’affermazione degli esordi, dove Trotta ammette senza mezzi termini la sua inadeguatezza nel campo dell’astronomia osservativa – «non ero nemmeno capace di puntare il telescopio verso l’oggetto astronomico più grande in tutto il cielo!» p. 15. In che senso? Privo di atteggiamenti disincantati o allarmistici, egli pone il suo sguardo critico e severo su quanto oggi ci impedisce di fruire appieno della bellezza della volta celeste: smog, inquinamento luminoso e una pletora di oggetti orbitanti, appartenenti a governi, organizzazioni, agenzie e sempre più spesso a miliardari, che hanno tutto da guadagnare nel colonizzare lo spazio sopra le nostre teste. Osservare il cielo diventa sempre più difficile e forse l’interesse dell’ipotesi di Trotta – a differenza di quella di Poincaré d’inizio ‘900 – sta proprio qui: oggi rischiamo che l’ipotesi diventi realtà. In un prossimo futuro dovremo forse comprarci un biglietto da cinquecentomila dollari per vedere le stelle da una capsula spaziale? Nell’ultimo sottocapitolo prima dell’Epilogo, dal titolo Il prezzo che pagheremo l’autore ci mette in guardia e conclude:
La nostra strada non deve essere solitaria. Rivedere le stelle significa assumere il punto di vista comune a tutti gli esseri viventi sulla Terra. Un giorno, dopo aver percorso le strade non lastricate della scienza, dal seno dell’atomo fino ai confini dell’universo, verrà il momento in cui torneremo a casa seguendo la strada non percorsa: quella dell’amore.
Roberto Trotta, Il cielo stellato sopra di noi, p. 339
Un libro che esordisce con la personale storia d’amore dell’autore e che termina con una dichiarazione d’amore universale a tutto quanto lassù ci racconta della nostra origine e del nostro destino.
Astronomi o astrologi?
Il giardino di Albert 15.03.2025, 17:00