Dopo il “sì” popolare dello scorso marzo all’introduzione della 13esima AVS, un altro importante dossier della previdenza passa all’esame del corpo elettorale. Il popolo infatti, in sede di referendum, sarà presto chiamato a pronunciarsi sulla riforma LPP. Si tratta del secondo oggetto sottoposto agli elettori per le votazioni del 22 settembre. Ma le implicazioni del medesimo fanno sì che l’attenzione sia rivolta soprattutto a questa riforma, sulla quale ambedue le Camere si sono espresse con nette maggioranze a favore. Decisamente contrario è invece un comitato, emanazione della sinistra e dei sindacati, che contro il progetto ha raccolto quasi 78’000 firme valide. L’ultima parola spetterà quindi alle urne.
Fra la speranza di vita in costante aumento, e l’insufficiente finanziamento delle rendite, il secondo pilastro previdenziale è ormai da tempo sotto pressione. Ma in evidenza è anche il problema di un finanziamento “trasversale” che, per quanto concerne le casse che offrono unicamente le prestazioni minime, si risolve in perdite per i lavoratori attivi: queste casse pensioni infatti, al fine di corrispondere ai pensionati le rendite disposte per legge, attingono ai rendimenti di quanto accumulato dai lavoratori attivi: le loro future rendite sono quindi destinate a subire una riduzione. La riforma sostenuta da Governo e Parlamento concerne quindi, anzitutto, le casse pensioni che offrono unicamente il minimo legale o poco più, con l’obiettivo di fornire ai loro affiliati una copertura più solida.
Riforma LPP: il video esplicativo diffuso in vista della votazione del 22 settembre
Il progetto sottoposto al popolo prevede quindi vari provvedimenti. Il primo è rappresentato da una diminuzione, dal 6,8% al 6%, di quell’aliquota di conversione che serve al calcolo dell’ammontare delle rendite: concretamente, se oggi ad un avere di 100’000 franchi corrisponde una rendita annua di 6’800, quest’ultima in avvenire scenderebbe a 6’000 franchi. Ma come si intende procedere, per compensare questo calo delle future rendite? Una prima misura, segnatamente a beneficio di coloro che hanno redditi modesti, è rappresentato da un innalzamento fino all’80% della quota assicurata del salario. Ciò si tradurrebbe, per i lavoratori e i datori di lavoro, nel versamento di contributi salariali più consistenti. Un’altra misura concerne invece le persone, di 15 classi d’età, che rientrano nella cosiddetta generazione di transizione: poiché non disporrebbero del tempo necessario per accumulare averi sufficienti, è per loro previsto un supplemento di rendita con costi annui, nell’ordine di circa 800 milioni di franchi, che verrebbero finanziati dalle casse pensioni e attraverso i contributi di tutti i lavoratori e i datori di lavoro.
Ancora a sostegno delle persone con entrate ridotte, è poi previsto un abbassamento di quella soglia salariale che segna l’ingresso nella previdenza professionale: questa passerebbe infatti da 22’050 a 19’845 franchi, col risultato di assicurare per il secondo pilastro 70’000 persone in più. La riforma, infine, si focalizza anche sul problema dei contributi più elevati che, col progredire dell’età, debbono essere versati per i dipendenti più anziani. Per evitare che questi lavoratori risultino penalizzati sul mercato del lavoro, il progetto prevede una riduzione dell’aliquota che li concerne, a fronte di un lieve aumento di quella che riguarda la fascia d’età che va dai 25 ai 34 anni.
Le ragioni del “no”
Il comitato promotore del referendum si oppone sistematicamente al progetto, definendolo, senza mezzi termini, come un imbroglio che si risolverebbe in rendite ancora più basse nonostante contributi che non sono mai stati così elevati. A trarne vantaggio sarebbero invece solo banche e intermediari finanziari che, sostengono, continuano a incamerare miliardi di contributi LPP a danno degli assicurati.
Le rendite delle casse pensioni sono ormai in calo da anni e chiamati alla cassa, a causa del calo dell’aliquota di conversione, sarebbero soprattutto le donne, gli over 50 e il ceto medio. Il progetto inoltre, sempre secondo i contrari, non considera né la mancata compensazione del rincaro, né il fatto che le casse stanno costituendo riserve sempre più sproporzionate.
Da rilevare che proprio di recente, e sulla scia delle polemiche legate alle proiezioni erronee sull’AVS dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS), l’Unione sindacale svizzera ha contestato le cifre ufficiali sugli effetti della riforma LPP. Sulla scorta di queste cifre, a subire riduzioni delle rendite sarebbero praticamente solo coloro che hanno entrate annue superiori ai 70’000 franchi, come a dire circa 5’500 franchi al mese. L’USS definisce però queste stime avulse dalla realtà, sottolineando che partono dal principio per cui una persona guadagnerà lo stesso salario per tutta la sua vita attiva. La riduzione del tasso di conversione, sostiene quindi l’USS, porterà quindi a minori rendite già a partire da 4’000 franchi mensili.
La posizione di Governo e Parlamento
Improcrastinabilità della riforma, necessità di stabilizzare le casse pensioni e di ridurre il finanziamento “trasversale” a spese dei lavoratori attivi. Sono alcuni fra i principali argomenti a sostegno del progetto che l’Esecutivo e le Camere sottolineano, ricordando che l’ultima grande revisione in materia risale a più di 20 anni fa.
Si tratta quindi di ripristinare la conformità al principio, attualmente non osservato dalle casse che offrono solo prestazioni minime, in base al quale ciascuno risparmia per la propria rendita. A beneficiare della riforma, sempre a detta di Governo e Parlamento, saranno quindi le persone con entrate modeste e in particolare le donne, grazie a rendite più elevate e alla più estesa possibilità di affiliarsi per la prima volta ad una cassa.
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