Svizzera

Ermotti: ”UBS parte della soluzione, non del problema”

Due anni dopo l’acquisizione di Credit Suisse, in un’intervista alla RSI il direttore generale della banca riflette su sfide, rapporto con la politica e presenza del gruppo in Svizzera e all’estero

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UBS: le sfide aperte - Il mondo cambia al ritmo di Trump

60 minuti 10.03.2025, 20:45

  • RSI
Di: 60 Minuti/YR 

Sono passati due anni dall’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS, un’operazione che ha segnato profondamente il panorama finanziario svizzero. Sergio Ermotti, ospite di Reto Ceschi a 60 Minuti, ha condiviso le sue riflessioni sui momenti più difficili e sulle prospettive future.

Le sfide di UBS e il rapporto con la politica

I primi mesi dopo l’acquisizione sono stati particolarmente intensi. Garantire una transizione fluida ha richiesto di stabilizzare il personale di entrambe le banche e affrontare le complessità logistiche e operative, ha sottolineato il presidente della direzione di UBS.

Tra i momenti più impegnativi, Ermotti ha indicato la reazione della politica, che sembra concentrarsi solo sui rischi legati a UBS, dimenticandone il ruolo fondamentale nel sistema finanziario svizzero. “Le stesse autorità che hanno chiesto a UBS di essere parte della soluzione sembrano oggi vedere solo pericoli da parte di UBS,” ha osservato, riferendosi alle autorità di vigilanza e alla Banca Nazionale.

Analizzando il fallimento di Credit Suisse, Ermotti attribuisce la maggior parte delle responsabilità alla mancanza di una strategia chiara dell’istituto e alla difficoltà del consiglio di amministrazione nell’attuare misure efficaci. Ha escluso che il problema fosse una carenza normativa, sottolineando come UBS, operando con le stesse regole, sia riuscita ad assorbire Credit Suisse. Piuttosto, “la regolamentazione esistente non è stata applicata con rigore né dalla banca né dalle autorità di vigilanza”.

Prospettive future: mantenere una forte presenza in Svizzera…

Con la nuova organizzazione, una delle maggiori preoccupazioni dei cittadini riguarda i posti di lavoro. “Purtroppo sappiamo che dovremo rinunciare a circa 3’000 posti di lavoro in Svizzera,” ha affermato Ermotti. “Ogni posto di lavoro perso è doloroso, ma stiamo anche investendo significativamente nel futuro e nelle prossime generazioni. Attualmente, abbiamo circa 2’300 collaboratori in formazione. Questo dimostra il nostro impegno per un business sostenibile e una piazza finanziaria forte”.

Nonostante i licenziamenti, UBS intende rimanere un punto di riferimento dell’economia svizzera, con relazioni che spaziano dalle famiglie alle grandi multinazionali. “La nostra strategia si basa su due pilastri: da un lato, la banca svizzera universale, che offre servizi a un’ampia gamma di clienti; dall’altro, la gestione patrimoniale in Svizzera. Attualmente, serviamo circa il 30% delle famiglie svizzere, collaboriamo con circa 200’000 aziende di media e piccola dimensione e intratteniamo relazioni con il 90% delle grandi aziende multinazionali”.

… e crescere in Asia e negli Stati Uniti

Guardando in prospettiva, UBS mira a progredire in Svizzera in linea con quella che è la crescita del prodotto interno lordo. Ma “la grande crescita che vedremo nel prossimo futuro, arriverà sempre e ancora dall’Asia e dagli Stati Uniti, dove nel settore della gestione patrimoniale vediamo grandi opportunità”. La banca è pronta ad affrontare le sfide dei prossimi anni, puntando sempre all’eccellenza dei prodotti e dei servizi offerti ai clienti. E tra queste sfide c’è anche l’America di Trump. Ospite all’ultimo WEF a Davos, Ermotti ha elogiato il dinamismo americano – che pur criticabile – crea una situazione di crescita economica e geopolitica. Tuttavia, ha espresso preoccupazioni riguardo alla politica dei dazi della nuova amministrazione, che potrebbe avere ripercussioni sull’inflazione e sulla crescita economica globale.

“È inevitabile che i dazi abbiano un impatto sull’inflazione, soprattutto considerando i recenti cambiamenti nelle catene di produzione globali. I dazi rappresentano un nuovo ostacolo che finirà per essere costoso per i consumatori. Questo è il motivo per cui i mercati stanno reagendo nervosamente a questa evoluzione. Le aspettative sono che le banche centrali, sia quella americana che quella europea, possano ridurre i tassi nel prossimo futuro. Tuttavia, se l’inflazione non scende sotto il target del 2%, cosa poco probabile a breve termine, potremmo assistere a un’inversione di tendenza”.

Le regole che disciplinano i mercati

Sempre nell’America di Trump si pensa anche a una riduzione delle regole sui mercati finanziari, con l’idea di incentivare la crescita economica. Ma chi ne trarrebbe davvero vantaggio? Una deregulation indiscriminata non favorirebbe necessariamente il sistema bancario, ma piuttosto quei soggetti che già oggi operano con minori vincoli, afferma Ermotti.

D’altro canto, anche un’eccessiva rigidità normativa potrebbe avere effetti negativi sull’economia: “Non è con la quantità delle regole che si risolvono i problemi. Serve applicare in modo efficace quelle già esistenti, invece di aggiungere nuovi vincoli che aumentano i costi per banche, aziende e famiglie”.

Alla fine la sfida è trovare il giusto equilibrio: una regolamentazione che protegga il sistema senza soffocare la competitività delle banche svizzere.

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A 60 Minuti il futuro delle banche

Telegiornale 10.03.2025, 20:00

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