Negli ultimi anni le votazioni popolari su temi di particolare peso si sono generalmente tutte risolte in un'adesione agli orientamenti espressi dal Consiglio federale sui relativi dossier. Non può quindi che indurre a più riflessioni una presa di distanze da parte del popolo, su due oggetti su tre, come quella sancita oggi dalle urne. Si tratta, almeno in una certa misura, di una battuta d'arresto per un Governo abituato da tempo a così tante conferme dal versante della democrazia diretta.
L'iniziativa antiburqa è stata accolta di stretta misura sul piano popolare, ma ha ottenuto una maggioranza schiacciante da parte dei cantoni, Ticino compreso. Una prima impressione è che la maggioranza dei votanti abbia inteso lanciare un segnale di principio contro imposizioni che non hanno riscontro nella dottrina dell'Islam in quanto tale, mentre trovano collocazione in tradizioni estranee ai valori consolidati e difesi nella realtà elvetica. In questo senso non hanno convinto né il controprogetto indiretto elaborato dal Parlamento (e incentrato sull'obbligo a mostrare il viso ai fini d'identificazione da parte delle autorità), né le argomentazioni legate all'esiguità del problema in Svizzera, dove è in ogni caso assai pronunciata la sensibilità per i temi legati ai diritti e alla dignità della donna. Temi tanto più sentiti, quanto più diffuse sono le riflessioni indotte dal movimento #metoo e dai 50 anni, celebrati proprio in questo primo scorcio del 2021, di un traguardo all'epoca faticosamente raggiunto: il diritto di voto e di eleggibilità delle donne a livello federale. Su questo sfondo ha così prevalso, pur con un ridotto scarto di voti, un segnale univoco e anche in linea con analoghe decisioni già adottate da altri Paesi europei.
E una rinnovata sensibilità, in tutt'altro ambito, è probabilmente all'origine del secco "no" alla legge sui servizi d'identificazione elettronica. Qui lo smacco per il Governo è stato ben più pesante: più del 64% di voti contrari, e tutti i cantoni schierati a sfavore. Una sconfessione bruciante, se si considera l'ampio margine di consensi con cui il progetto era stato a suo tempo approvato da entrambe le Camere. La nuova legge, fra le prerogative mantenute dalla Confederazione e il ruolo attribuito agli operatori privati, poteva configurarsi come una classica soluzione di compromesso in chiave elvetica. Ma la propensione al compromesso, quando si parla di dati personali, non trova davvero un terreno molto fertile nella popolazione. Su questo ambito, anzi, il dibattito si accompagna a diffidenze diffuse sul ruolo dei privati, sia per le effettive garanzie sulla protezione dei dati, sia per la pervasività di colossi come Google, Facebook e altre imprese con una posizione dominante, e controversa, nell'universo della digitalizzazione. Vicende come lo scandalo Cambridge Analytica, con tutto il loro corollario di polemiche, hanno in questo senso lasciato il segno e accentuato la sensibilità su dossier, certamente delicati, come quello della gestione dei dati personali.
Di questi aspetti, e della loro percezione da parte della popolazione, occorrerà tener maggiormente conto nell'elaborazione delle politiche che in futuro li concerneranno. Evitando, in tal modo, di doversi ancora confrontare a scollamenti, senz'altro significativi, come quelli scaturiti oggi dalle urne.
Alex Ricordi*
*Responsabile cronaca nazionale di RSI News
Da Berna, Nicola Zala
Telegiornale 07.03.2021, 21:00