Inchiesta

L’Europa sta perdendo il suo calcio

Cede ad americani e Stati del Golfo il controllo di un business miliardario – E nel Far West delle multiproprietà anche la Super League svizzera è terra di conquista

  • 26 giugno, 20:37
  • 27 giugno, 12:40

Inchiesta esclusiva sul calcio europea

Telegiornale 26.06.2024, 20:00

  • Keystone
Di: John Robbiani/Cellula inchieste RSI

“Noi europei abbiamo venduto la nostra anima al miglior offerente”. È con queste parole che Simon Chadwick – professore di sport ed economia geopolitica alla SKEMA Business School di Parigi – riassume la situazione del calcio nel nostro Continente.
“Venduto al miglior offerente e senza neppure farci domande su chi quell’anima la stava per comprare”.
Il calcio in Europa è un business miliardario che è diventato terra di conquista per investitori statunitensi, sauditi, qatarioti ed emiratini. Il calcio non è solo intrattenimento. Non è solo “panem et circenses”. È un vero e proprio comparto economico. Il valore complessivo dei 32 club più grandi del Continente supera i 50 miliardi di franchi. Un comparto economico di cui l’Europa sta perdendo il controllo. E gli esperti avvertono: “Succederà anche in Svizzera”. Anzi, già sta accadendo.

Attraverso una lunga indagine, a cui ha partecipato anche la cellula d’inchiesta della RSI, l’EBU Investigative Journalism Network della European Broadcasting Union ha tentato di immortalare la situazione e far luce anche sul fenomeno delle multi-club ownership (le MCO). Capire l’impatto che questi gruppi internazionali - che controllano più squadre e in più Paesi - hanno e ancora più avranno su un mondo del calcio la cui integrità, sempre secondo Chadwick, è in pericolo.

Abbiamo venduto la nostra anima al miglior offerente

Simon Chadwick, prof. Sport ed economia geopolitica, SKEMA Business School Parigi

Il business del calcio europeo: dalla maxi inchiesta ai rischi

SEIDISERA 26.06.2024, 19:01

  • keystone

Le multinazionali del calcio

Da alcuni anni si osserva la crescita delle “multinazionali” del calcio. Gruppi finanziari che, appunto, controllano più squadre e in più Paesi. Inizialmente i grandi gruppi si erano concentrati sui campionati maggiori (in particolare Premier League e Serie A italiana), dove sembrava più logico investire per ottenere rapidamente risultati e profitti. E non si trattava necessariamente neppure di gruppi extra-europei. Tra i primi a conquistarsi un posto al sole l’italiano Giampaolo Pozzo (proprietario di Udinese, Granada e Watford) e l’austriaca Red Bull, che da Salisburgo ha finito per controllare un impero che ingloba Lipsia (Germania), New York (USA), Red Bull Brasil (di San Paolo) e Bragantino (sempre Brasile).

Oggi però ci sono multi-club ownership molto più grandi. Abu Dhabi United Group, fondo private equity di proprietà della famiglia reale degli Emirati, controlla 13 club in tutto il mondo: Manchester City (Inghilterra), Girona (Spagna), Lommel S.K. (Belgio), Troyes (Francia), Palermo (Italia), New York (USA), Mumbai City (India), Melbourne City FC (Australia), Yokohama (Giappone), Shenzeng Peng City (Cina), Montevideo City Torque (Argentina) e Esporte Clube Baiha (Brasile). Altri gruppi di rilievo sono 777 Partners, Pacific Media Group, il Saudi Public Investment Fund (della famiglia reale saudita) e le costellazioni sportive gestite dagli imprenditori statunitensi John Textor e David Blitzer. Gruppi che nel complesso, gestiscono 43 squadre in tutto il mondo.

Il mercato dei trasferimenti già ne risente

“Il rischio – spiega alla RSI Raffaele Poli, responsabile del CIES Football Observatory di Neuchâtel - è una concentrazione e un dominio ancora più grande di queste strutture. Strutture che riescono a controllare un numero di talenti enorme e che gestiscono più calciatori di quanti ne abbiano bisogno. Riescono così a influenzare il mercato dei trasferimenti”. Mercato che non a caso ha visto un forte aumento dei prezzi nelle ultime stagioni. “L’anno scorso – spiega Poli - sono stati superati i 10 miliardi di euro. È anche un modo per tarpare le ali alla concorrenza”.

Ma non solo. È anche un sistema che complica (o perfino vanifica) i controlli sul fairplay finanziario imposto dall’UEFA.

Influenzato il mercato dei trasferimenti

Raffaele Poli, Responsabile CIES Football Observatory, Neuchâtel 

Due squadre in campo, un solo padrone

Ma a rischio, come diceva Chadwick, c’è la correttezza stessa delle competizioni. Può davvero essere definita equa una manifestazione in cui partecipano più club della stessa proprietà? È già successo (per esempio tra Red Bull Salisburgo e Red Bull Lipsia) e succederà sempre più spesso. L’anno prossimo Abu Dhabi United Group potrà per esempio vantare due sui club in Champions League: Manchester City e Girona.

In Belgio è già successo, ora tocca alla Svizzera?

Ma allora c’è la possibilità che il calcio svizzero finisca in mani straniere? Che le sue squadre vengano vendute - o svendute - a fondi d’investimento statunitensi, sauditi, emiratini, cinesi o qatarini? C’è il rischio che il calcio svizzero venga risucchiato in questo sistema di multi-club ownership e che la Super League si trasformi in un agglomerato di farm-team al servizio di club più grandi? Cioè che le squadre svizzere vengano utilizzate unicamente come “incubatrici di possibili talenti” cessando di avere una vita propria?

Basta osservare quanto accaduto in nazioni simili alla nostra per capire cosa potrebbe presto succedere. Guardare al caso belga. Investimenti stranieri si contano in 12 dei 16 club che formano la Jupiler Pro League, la massima divisione. Si tratta del 75% del totale. Dieci i club che, in un modo o nell’altro, fanno parte di una multi-club ownership. E la situazione non è molto diversa in serie B (che in Belgio si chiama Challenger Pro League): metà dei club sono in mani straniere. E sette squadre sono inglobate in una MCO. Il mercato belga sembra dunque ormai saturo. Chi voleva investire ha probabilmente già investito. Possibile dunque ora che i gruppi internazionali girino lo sguardo verso lidi meno affollati, come quello svizzero o quello austriaco? “Sì – conferma Raffaele Poli – perché nel mondo del calcio si assiste a una concentrazione delle risorse. I grandi club stanno facendo a gara per acquistare squadre negli altri campionati”. Il Belgio era interessante, ora lo diventa anche la Svizzera.

Lugano, Yverdon, Lausanne Sport e Grasshopper

Oggi in Svizzera sono già 4 (su 12) i club di Super League controllati dall’estero. Siamo ancora lontani dalla situazione belga, ma c’è un elemento che fa riflettere: nella stagione 2023-2024, in un solo anno dunque, due squadre elvetiche sono state acquistate da investitori statunitensi. L’Yverdon è stato preso dall’imprenditore texano Jamie Welch, CEO di una società del ramo energetico (la Kinetik Holding di Houston). E Welch ha dichiarato di voler mettere in piedi una multi-club ownership tutta sua. Di essere dunque interessato ad acquistare un altro club. Non a caso, in aprile, si è parlato di un suo interessamento per il Lecco (in quel momento in Serie B).

Statunitense è diventato anche il club più titolato della Svizzera: il Grasshopper. In gennaio l’ha comprato il Los Angeles FC (squadra della Major League americana). Californiani che controllano anche l’Austria Wacker di Innsbruck e collaborano con il Bayern Monaco nello sviluppo di giovani talenti in Africa e Sud America. Grasshopper che faceva tra l’altro già parte di una MCO: la precedente proprietaria, Jenny Wang, è infatti la moglie del businessman cinese Guo Guangchang: patron del Wolverhampton in Inghilterra.

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Il Lugano (maglia bianconera) da tre anni appartiene al proprietario dei Chicago Fire Joe Mansueto.

  • Keystone

Poi c’è il Lugano, che da tre anni appartiene al proprietario dei Chicago Fire Joe Mansueto. Mansueto, miliardario, non esclude la possibilità di acquistare in futuro anche un terzo club (probabilmente in Europa). E c’è il Lausanne Sport. Il club vodese è controllato dalla multinazionale Ineos, proprietaria anche del Nizza (Ligue 1 francese) e che intrattiene una partnership con il Racing Club Abidjan (Costa d’Avorio). Ma, soprattutto, il proprietario di Ineos - Jim Ratcliffe – è anche azionista del Manchester United.

Questo il presente. Ma, appunto, quale sarà il futuro in Svizzera? “Il prezzo di entrata, di acquisto, di una squadra nei più grandi campionati – spiega Raffaele Poli – è salito alle stelle. Per comprare il Chelsea in Inghilterra sono stati chiesti miliardi. Questo esclude possibili investimenti da parte di proprietà che hanno meno mezzi, che dunque si concentreranno su club più piccoli e meno costosi ma comunque interessanti nell’ambito della compravendita di giocatori”.

Petrodollari a Sciaffusa

Che la Svizzera sia interessante da questo punto di vista è confermato anche dal flirt tentato da Red Bull nei confronti dello Zurigo. Il presidente Ancillo Canepa l’anno scorso aveva confermato di essere stato avvicinato dalla multinazionale e di aver rifiutato un’offerta per rilevare il club.

Ma investimenti esteri (e inglobamenti in MCO) iniziano a farsi strada non soltanto in Super League. Celebre – ma non molto efficace viste le mancate promozioni – è stato il caso del Thun, che era entrato nell’orbita di uno dei più grandi gruppi al mondo (Pacific Media Group). Nel mese di aprile del 2024 il club bernese ha annunciato la fine di questa collaborazione. Lo Sciaffusa invece – che anche per questioni finanziarie ha faticato a ottenere la licenza per la Challenge League -  ha invece recentemente annunciato una partnership con il principe Abdullah bin Saad bin Abdulaziz e il fondo sovrano saudita PIF (quello che possiede il Newcastle e che ha comprato giocatori del calibro di Ronaldo, Neymar e Benzema).

Significa che il “piccolo” Sciaffusa verrà presto inondato di petrodollari e salirà ai vertici del calcio svizzero? Raffaele Poli è scettico. Perché ricevere fondi sauditi non è automaticamente sinonimo di successo. “C’è l’esempio del Châteauroux in Francia, che è finito sull’orlo del fallimento. A volte le notizie attorno agli investimenti sauditi si rivelano delle mezze bufale”. O un modo per il club di farsi un po’ di pubblicità e attirare nuovi investitori. “Potrei sbagliarmi – continua Poli – ma credo che il caso di Sciaffusa sia uno di questi”.

Gruppi esteri in Svizzera, ma anche gruppi svizzeri all’estero. E non sempre con grandi risultati. È il caso di Ahmet Schaefer – che ha lavorato alla FIFA dove è stato assistente personale di Joseph Blatter - che ha messo in piedi una multi-club ownership tutta sua. Un gruppo che raduna Bienne (che milita nella Prima Lega promotion elvetica), Clermont Foot (in Francia) e Austria Lustenau. Ebbene nel 2024 sia il Clermont che il Lustenau sono stati retrocessi. E il Bienne, nonostante mille speranze, è rimasto in Prima Lega.

Il Locarno, l’intervento della Federazione e la retrocessione dell’Ascoli

Ma ci sono poi esempi ancora più particolari. Di club ancora più piccoli, in divisioni amatoriali, finiti nel mirino di reti internazionali. Stiamo parlando del Locarno, in Seconda Lega Interregionale, che sembrava destinato ad entrare a far parte di North Sixth Group: multi-club ownership guidata dall’imprenditore italo-americano Matt Rizzetta. North Sixth controlla Brooklyn FC a New York e il Benevento in Serie C italiana. Ma North Sixth era azionista anche dell’Ascoli, retrocesso poche settimane fa dalla B alla C. I due club (Ascoli e Benevento) giocheranno dunque quest’anno nella stessa categoria. E per questo Rizzetto ha venduto l’Ascoli. Una situazione che ricorda quanto accaduto – sempre in Italia - con la Salernitana. Promossa in Serie A grazie agli investimenti di Claudio Lotito, la squadra campana si è ritrovata a giocare nella stessa categoria della Lazio (anch’essa controllata da Lotito). Ed è così che, su decisione della Lega Calcio, la Salernitana è stata messa sul mercato.

Ma torniamo al Locarno. Gli accordi tra il club e North Sixth group erano già stati firmati. Tutto sembrava in regola. Ma poi è intervenuta l’ASF – l’Associazione svizzera di calcio – a bloccare l’affare e a “bocciare”, perlomeno nella forma prevista, l’accordo tra l’imprenditore americano e i verbanesi. D’altronde l’ASF – interpellata su questo caso dalla RSI già nel mese di novembre del 2023 – era stata chiara: “Al di sotto della Challenge League i club devono essere organizzati come Associazione. In un’associazione la regola è “un socio un voto” e non “chi paga comanda”. Se l’FC Locarno fonda una SA, non può che essere una SA creata per affiancare l’Associazione e finanziarla”. Non può, dunque, assumerne direttamente il controllo.

Un grande Monopoly

Tante nubi dunque. Ma ci sono anche esempi positivi. Il Lugano, per quanto visto fino ad adesso, è uno di questi. Joe Mansueto ha comprato i bianconeri quando a Lugano non c’erano più soldi per andare avanti. Non in Super League perlomeno. Con Mansueto e la collaborazione con i Chicago Fire la squadra è cresciuta e si è assestata ai vertici del calcio elvetico. I tifosi sono contenti. “Lugano e Chicago – spiega Raffaele Poli – sono due squadre che si equivalgono. Certo, la proprietà ha probabilmente un occhio di riguardo per Chicago, ma tra i due club sembra esserci equilibrio”. Ma non sempre, nelle multi-club ownership, le cose funzionano così. All’interno dei club c’è una gerarchia e – secondo logica – i club più piccoli diventano uno strumento per far crescere ancora di più quelli più grandi.

FC Lugano, l'orgoglio di Joe Mansueto

Telegiornale 03.06.2023, 20:00

“Vediamo club – rileva Poli - venir trasformati in oggetti di mercato, soprattutto se di mezzo ci sono persone che provengono dal mondo della finanza e considerano i club come un investimento. Un mondo in cui tutto diventa monetizzabile. Un grande monopoly e grandi castelli di carta. Ed è anche questo che preoccupa quando si osserva il fenomeno delle multiproprietà: se un gruppo entra in crisi c’è il rischio che prenda avvio una serie di fallimenti a catena. Fallimenti a catena e in paesi diversi”.

Con le multiproprietà, se un club entra in crisi si rischiano fallimenti a catena

Raffaele Poli, Responsabile CIES Football Observatory, Neuchâtel 

La UEFA non risponde

Durante l’indagine l’Investigative Journalism Network ha più volte tentato di ottenere risposte dalla UEFA. “Chiaramente – spiega alla RSIla giornalista Belén Lòpez Garrido (tra i coordinatori dell’inchiesta condotta dall’EBU) – se si racconta una storia come questa si prende contatto anche con la UEFA. Perché sono loro ad avere il controllo sul calcio europeo. Ci abbiamo provato più volte, chiedendo in più occasioni la possibilità di un’intervista. Ma hanno sempre declinato”.

L’inchiesta completa di EBU può essere trovata qui.

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