Credit Suisse è finita nuovamente nel mirino di un’inchiesta giornalistica internazionale: una fonte anonima ha fatto trapelare informazioni su 18'000 conti bancari. L’istituto avrebbe ospitato per decenni fondi legati alla criminalità e alla corruzione. Credit Suisse respinge tuttavia le accuse, parlando di informazioni parziali, inaccurate, fuori contesto.
E se tra il consorzio di giornalisti coinvolti nell’inchiesta spicca l’assenza di testate svizzere c’è un preciso motivo: dal 2015 un articolo di legge punisce chi pubblica nomi di clienti ottenuti in seguito a una violazione del segreto bancario.
I giornalisti del gruppo Tamedia avrebbero voluto partecipare all’inchiesta ma, a differenza di altre recenti inchieste sui paradisi fiscali, questa volta hanno rinunciato: il rischio era troppo alto e le conseguenze giuridiche troppo imprevedibili, ha scritto per esempio lunedì il Tages-Anzeiger.
Per capire il motivo del varo dell’articolo di legge bisogna risalire a una dozzina di anni fa, al periodo turbolento per la piazza finanziaria dei furti di dati bancari, dei CD venduti ad esempio al fisco tedesco. La pressione era alta, e le contromosse politiche non sono tardate ad arrivare, con un'iniziativa parlamentare il PLR chiedeva di inasprire la legge, punendo fino a tre anni di carcere chi viola il segreto bancario. Norma che si applica anche a terzi che diffondano nomi di clienti bancari, quindi anche ai giornalisti.
L’articolo in questione è il 47 della legge sulle banche, entrato in vigore nel 2015, quando con lo scambio automatico di informazioni il segreto bancario volgeva al termine.
Una legge giustificata?
Questo bavaglio alla stampa è ancora giustificato? Sì, secondo Carlo Lombardini, professore di diritto bancario all’Università di Losanna, lui stesso avvocato di diverse banche. “La stampa non si deve prestare a infrazioni penali - spiega Lombardini ai microfoni del Radiogiornale – inoltre, niente impedisce alla stampa di riferire quanto successo al Credit Suisse, basta solo non svelare i nomi dei clienti”.
I giornalisti del Tages-Anzieger fanno per parte loro notare come in nessun paese democratico esista una norma tanto severa come quella elvetica. La relatrice dell’ONU sulla libertà di stampa parla di una violazione delle norme internazionali e intende discuterne con il Consiglio federale. Sembra quindi essere un interesse pubblico nel sapere che una banca svizzera detiene o abbia detenuto fondi di presunti criminali o dittatori. “In questo caso sta al giornalista decidere se è pronto a correre il rischio della pubblicazione”, continua Lombardini, “io sono contro la pubblicazione di questo tipo di inchieste, perché penso non spetti alla stampa trasformarsi in giustiziere, sulla base di criteri morali e non giuridici”.
D’altronde la FINMA, l’autorità di vigilanza dei mercati finanziari, chiede da tempo cautela nei confronti dei conti delle persone cosiddette politicamente esposte. Una banca svizzera non può quindi tener conto anche di criteri morali. “Le banche svizzere tengono attualmente conto di criteri morali e reputazionali”, ribatte il professore, “ma qui parliamo di dati che sono vecchi e da quanto ho capito certi molto vecchi”.
Per l’avvocato Lombardini, dunque, non c’è motivo di rivedere le norme antiriciclaggio in Svizzera. Tuttavia, nel frattempo per tutta la piazza finanziaria elvetica le rivelazioni e la fuga di dati rappresentano un ulteriore danno di immagine.
Una nuova spina nel fianco di Credit Suisse
La vicenda va ad allungare la lista delle questioni spinose e dei problemi che negli ultimi anni hanno toccato la seconda banca svizzera. Gli ultimi in ordine di tempo si chiamano Greensill e Archegos; due vicende che hanno avuto pesanti ripercussioni finanziarie, ma sulle quali non si può dire che la banca abbia agito in acque per così dire "torbide". Diverso il discorso invece per il processo attualmente in corso al Tribunale penale federale di Bellinzona, con la banca accusata di riciclaggio insieme a un trafficante di stupefacenti bulgaro. E nel recente passato l'istituto di Paradeplatz è stato al centro di più vicende che hanno fatto urlare allo scandalo. A cominciare dai fondi dell'ex dittatore nigeriano Sani Abacha o di persone a lui vicine depositati su conti della banca; oppure ancora il pedinamento di un ex membro della direzione, costato il posto all'ex direttore generale Tidjane Thiam. Senza infine dimenticare i conti di soggetti fiscali statunitensi, che alla banca sono costati una multa miliardaria negli Stati Uniti, e con lei il resto della piazza finanziaria elvetica.
Radiogiornale delle 12.30 del 21.02.2022: il servizio di Johnny Canonica
RSI Info 21.02.2022, 13:41
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