Il Tribunale federale ha deciso che le casse malati devono sostenere le spese derivanti dal Long Covid. Ha infatti accolto il ricorso di un paziente al quale Helsana aveva negato il rimborso di fatture mediche per un importo pari a 20’000 franchi.
La vicenda ha avuto inizio nel 2020, quando Christian Salzmann, un noto presentatore radiofonico svizzero-tedesco si ammalò di Covid-19. L’uomo si curò e, dopo un lungo congedo per malattia, rientrò al lavoro senza però esser tornato al meglio delle sue condizioni.
Accusava infatti vertigini, difficoltà nell’esprimersi, intolleranza a luci e rumori, tanto che racconterà di aver dovuto rimanere chiuso in casa, disteso sul letto nella totale oscurità, e tutto questo per molto tempo. I medici gli hanno diagnosticato un Long Covid.
Ora Salzmann è tornato a lavorare grazie a una cura che agisce come una sorta di purificatore del sangue e che gli ha permesso di alleviare fortemente i sintomi. Tuttavia, per questa terapia ha dovuto sborsare fino a 20’000 franchi, che Helsana si è poi rifiutata di rimborsare.
La recente sentenza del Tribunale federale impone all’assicurazione malattia di saldare il dovuto, a meno che non si dimostri che la cura è inefficace, ma ciò non sembra il caso per il presentatore. Per il legale di Helsana tale decisione di Mon Repos rischia di portare il sistema alla deriva, in quanto le casse malati potrebbero dover rimborsare una serie di cure per le quali non esiste una prova scientifica della loro efficacia, ma basta che siano prescritte da un medico.
Ma va detto che la sentenza scontenta anche i pazienti, poiché proprio le casse malati potrebbero bloccare i rimborsi continuamente, chiedendo ulteriori verifiche.
L’esperto: “Si fa fatica a farsi pagare cure molto più semplici”
Il dottor Pietro Antonini, responsabile dell’ambulatorio Long Covid alla Clinica Moncucco di Lugano, segnala che rispetto ai costi per terapie Long Covid, la sua struttura fa “fatica a far pagare alle assicurazioni cose più semplici. Ad esempio, un paziente che arriva con disturbi di memoria, di concentrazione o “nebbia cerebrale” potrebbe beneficiare di una neuroriabilitazione. Poi però si deve convincere la cassa malati della bontà della scelta e far sì che accetti una terapia che costa due-tremila franchi. E si tratta di una terapia che aiuta il paziente”, allo stesso modo di una fisioterapia o di un’ergoterapia di norma rimborsate più facilmente.
In merito all’affermazione del legale di Helsana, secondo il quale la sentenza spiana la strada al rimborso di terapie che non hanno una base scientifica, il dottor Antonini ritiene che sia “una sentenza che non farà contento chi si occupa di finanziamento dei costi della salute”, poiché “il fatto che le spese non fossero coperte erano un freno per terapie non “evident-base” o comunque un po’ strane. Ora, sapendo che se si va in tribunale si può “spuntarla”, ciò rischia di indurre altra gente a sottoporsi comunque a delle terapie”, confidando sul fatto che le vie legali possono permettere “di farti pagare” le spese, conclude Pietro Antonini.
RG 07.00 del 08.05.2024: Il servizio di Aron Guidotti
RSI Info 08.05.2024, 07:45
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