La Svizzera studia contromisure per contrastare un fenomeno della radicalizzazione islamica, le partenze verso le zone di conflitto. Nel rapporto pubblicato oggi, giovedì, la task force federale ne elenca tanto di preventive quanto di intrusive.
Delle prime fa parte l'intensificazione del dialogo con la comunità musulmana, per favorire l'integrazione. Una campagna di contro-radicalizzazione appare invece più complessa. Una hotline telefonica, la sorveglianza dei media sociali e la cooperazione con servizi esteri permetterebbero di identificare i soggetti a rischio.
Nel secondo capitolo rientra invece un accesso facilitato ai dati dei passeggeri, mentre la task force non crede all'efficacia di un ritiro del passaporto ai candidati allo jihad. Una volta partiti, essi possono poi essere seguiti (forse indotti a tornare) attraverso la rete. Al loro rientro, il divieto di ingresso in Svizzera appare poco efficace: si suggerisce un seguito di audizioni e reinserimento, più un'eventuale detenzione preventiva. Ma il carcere, come mostrano i casi di Copenaghen e Parigi, ha uno scarso effetto dissuasivo.
Markus Seiler in conferenza stampa
Venti procedimenti in corso
I procedimenti penali attualmente in corso, ha fatto sapere il capo del Servizio delle attività informative della Confederazione Markus Seiler, sono 20. La situazione non è radicalmente mutata dopo i recenti attentati in Europa, poiché non vi sono indizi di minacce concrete in territorio elvetico, malgrado la Svizzera sia stata citata in un recente video dell'autoproclamato Stato islamico. Attacchi sanguinosi, comunque, rimangono possibili.
pon/ATS
Dal tg12.30: