La prostituzione non può più essere considerata un‘attività contraria alla morale e il suo esercizio è protetto dalla Costituzione. Lo afferma il Tribunale federale (TF) che ha confermato la condanna per truffa inflitta dalla giustizia sangallese a un uomo che non aveva pagato la prestazione sessuale ottenuta.
I fatti risalgono al 2016, quando l’imputato aveva pubblicato su internet un annuncio in cui offriva un compenso di 2'000 franchi a donne disposte a passare una notte con lui e a fare sesso. La prostituta che si era presentata all’incontro aveva chiesto di essere pagata in anticipo ma il cliente era riuscito a convincerla che aveva i soldi con sé e che le avrebbe versato il dovuto più tardi. Dopo avere consumato due rapporti, l’uomo si è dato alla fuga senza saldare l’importo pattuito.
Il Tribunale distrettuale di San Gallo nel 2019 aveva dato seguito alla denuncia della donna condannando l’uomo a una pena pecuniaria per truffa. Questi ha però ricorso fino al TF sostenendo, citando la giurisprudenza, che la prostituzione è un'attività contraria alla morale e che quindi la donna non aveva alcun diritto giuridicamente tutelato a una retribuzione.
Lo scorso 8 gennaio la Corte losannese ha respinto il ricorso e ha affermato che il contratto tra una prostituta e il suo cliente non può più essere valutato come contrario ai buoni costumi. I giudici hanno sottolineato che la prostituzione è un'attività socialmente abituale e autorizzata, alla quale si può attribuire, almeno in parte, un valore patrimoniale nell'ordinamento giuridico. Il suo esercizio è inoltre tutelato dalla Costituzione, nell'articolo che garantisce la libertà economica.