Dopo Europa, America latina, è toccato ora all’Australia difendere il diritto di non essere costantemente raggiungibili fuori dal lavoro. Per il premier Anthony Albanese il punto è garantire che chi non viene retribuito 24 ore al giorno non debba neanche essere operativo 24 ore su 24.
Sul banco degli imputati c’è ancora una volta la digitalizzazione con gli enormi cambiamenti di cui è ignara portatrice, come appunto la reperibilità in qualsiasi momento. Il Parlamento australiano ha dunque stabilito che i dipendenti possono ignorare telefonate e e-mail una volta conclusasi la giornata di lavoro senza temere ripercussioni. Questo a meno che non si tratti di casi eccezionali, un’emergenza per esempio.
Per Vania Alleva, presidente del sindacato UNIA, è una buona notizia. “È una tematica che sentiamo soprattutto laddove si fa anche molto telelavoro. Dunque separare molto meglio la vita professionale e la vita libera è fondamentale perché nelle nuove forme di lavoro questo limite diventa sempre più fluido. Per questo la necessità di ancorare un limite chiaro diventa sempre più importante”.
La posta in gioco è alta, di mezzo ci va infatti la salute di chi lavora. Ancora la sindacalista di UNIA: “Non si può lavorare 24 ore su 24. E purtroppo da parte padronale vediamo sempre più forte questa rivendicazione alla flessibilità, ma è una flessibilità unilaterale. È chiaro che tante lavoratrici sono magari contente delle forme flessibili di lavoro, ma questo comporta che nel momento in cui si dice no, ci sia veramente uno stacco. Perché sennò è appunto una flessibilità unilaterale che rende anche malati. Non a caso i casi di burnout in alcune professioni sono in aumento”.
Chiamati in causa i datori di lavoro ritengono, come ribadito di recente dal Consiglio federale, che in Svizzera non ci sia la necessità di intervenire. “A nostro avviso abbiamo delle leggi che prevedono, per tutelare la salute dei lavoratori, delle regole riguardo all’orario di lavoro e anche il tempo di riposo. Un diritto per disconnettersi in questo senso esiste già e non abbiamo bisogno di un’altra legge”, dice Daniella Lützelschwab, dell’Unione svizzera degli imprenditori.
Vista dalla sua prospettiva la soluzione passa piuttosto dal definire a livello di azienda o di singolo contratto i termini dell’impegno richiesto. Sapendo che spesso a dover intervenire fuori orario sono dipendenti particolarmente qualificati, che già cercano una certa autonomia nella gestione della mole di lavoro.
La presidente di UNIA, da parte sua, continua a essere scettica. E si ripromette di vigilare attentamente su tutti gli ulteriori tentativi di flessibilizzazione provenienti dal Parlamento, come quelli - dice - durante la pandemia o con il franco svizzero forte. La sessione delle Camere è alle porte, le nuove forme di occupazione torneranno presto a tenere banco.