Risale a 8 mesi fa l'allineamento della Confederazione alle prime sanzioni inflitte dall'UE alla Russia, dopo l'inizio della sua aggressione all'Ucraina. Primi provvedimenti, a cui ha fatto seguito la ripresa di misure via via sempre più mirate. Esportazioni e conti bloccati, proprietà confiscate e restrizioni commerciali di vario genere hanno così colpito oligarchi, come pure organizzazioni economiche e politiche.
Trascorsi 8 mesi, che bilancio si può trarre del regime sanzionatorio? Quali effetti ha sortito? Anche i cittadini russi in Svizzera sono interessati dalle misure. Per fare il punto, chiediamo allora chiarimenti alla sede ticinese della Camera di commercio Svizzera-Europa orientale.
"Con l'inizio dell'invasione c'è stata una forte reazione, un po' di tutti, specialmente anche delle banche", spiega il suo rappresentante Luca Moretti, precisando che tanti residenti hanno ricevuto "la richiesta di chiudere proprio tout court i conti bancari, di spostarsi verso altre banche". Fra i russi non sanzionati, molti sono stati interessati dalle sanzioni indirettamente. Ora però si sono adattati alla situazione. Tanti hanno trasferito le attività "dalla Russia-Russia ai Paesi dell'Eurasia", convertendole per sopravvivere. Mantengono quindi un'attitudine attendista. La loro speranza è che tutto finisca al più presto: quindi "congelano un po' tutte le attività, le cose... Stanno nel piccolo, semplicemente, in attesa che questa situazione evolva".
Ma per ora le sanzioni restano in piedi. E attualmente concernono circa 1'300 persone fisiche e aziende. In Svizzera sono quindi stati congelati beni nell'ordine di 6,7 miliardi di franchi. Tale ammontare però, dallo scorso 7 luglio, non risulta mutato. Quali le ragioni? "Gli averi delle persone sanzionate vengono immediatamente bloccati dalla SECO, appena giungono le segnalazioni", ci risponde la Segreteria di Stato dell'economia, precisando però che la grande maggioranza era concentrata prima del 7 luglio. "Dopo questa data", prosegue la Seco, "il numero di persone fisiche e giuridiche è nettamente diminuito". Il grosso dei beni, quindi, era già stato congelato prima.
In molti però si chiedono se la Svizzera abbia davvero fatto abbastanza. Un interrogativo che sorge alla luce del fatto che nelle banche svizzere ci sarebbero 150-200 miliardi di franchi appartenenti a cittadini russi. "Bisogna ammettere che ci sono alcune difficoltà nel mettere in atto queste sanzioni", afferma Mark Pieth, docente di diritto penale all'Università di Basilea ed esperto di anticorruzione che più volte si è occupato di oligarchi russi. Le difficoltà in questione sono due: una nel reperire i fondi e l'altra che risiede nelle opacità delle società "bucalettere". Sono questi i fattori, oscuri, che aiutano gli oligarchi a occultare i loro soldi.
Per questo esperto è inoltre difficile fare raffronti di cifre: "I 6,7 miliardi di franchi sono beni di oligarchi sanzionati", mentre i 200 miliardi appartengono a "russi in generale", anche non sanzionati. "Certo non sono russi qualunque", osserva Pieth, secondo cui, comunque, 6,7 miliardi sono poca cosa a fronte di 200.
Per la SECO, tuttavia, l'impatto delle sanzioni si fa sentire soprattutto in altri ambiti. E se il peso si avverte anche in Occidente, è però l'economia russa a risentirne maggiormente. Le nuove previsioni del Fondo monetario internazionale (FMI) indicano per il PIL russo nel 2022 una flessione "di oltre 3 punti percentuali e un'ulteriore contrazione nel 2023", ricorda l'economista Riccardo Trezzi, professore all'Università di Ginevra. A titolo di paragone le stesse stime prevedono invece un'espansione del PIL svizzero di 2 punti percentuali per l'anno in corso e di un punto per il prossimo. "Quindi le sanzioni continuano ad avere un effetto sull'economia russa", conclude, sottolineando che il vero impatto delle sanzioni si rivelerà nel corso degli anni.