Il corposo rapporto sugli abusi sessuali nelle istituzioni religiose svizzere sta spingendo le diocesi del Paese a intraprendere nuovi passi affinché tutti i casi passati possano emergere e si scongiuri il rischio che altri possano nuovamente verificarsi. Joseph Maria Bonnemain, vescovo della diocesi di Coira, alla RSI ha spiegato che le diocesi svizzere stanno già introducendo una serie di misure, perché "ogni caso è un caso di troppo".
Secondo il vescovo, "bisogna ammettere la colpa, portarla sulle spalle e lavorare nella giusta direzione". In questo senso, il 75enne spiega che si è già "presa la responsabilità di non distruggere nemmeno una carta degli archivi, perché così i ricercatori potranno lavorare senza difficoltà". Un nuovo standard che peraltro contraddirebbe un canone del diritto canonico che stabilisce che ogni 10 anni i documenti dei processi conclusi e quelli relativi alle persone decedute siano distrutti.
Inoltre, aggiunge Bonnemain, "vogliamo porre degli standard psicologici per chi desidera entrare in seminario o iniziare un cammino in un ordine religioso in modo da assicurarci che soltanto persone responsabili possano essere ammesse".
Archivi svizzeri aperti, ma non quelli del Vaticano
Se la Chiesa in Svizzera ha aperto i propri archivi ai ricercatori, altrettanto non è stato fatto dal Vaticano. Le diocesi svizzere vogliono allora "intervenire per far capire perché sarebbe necessario aprire questi archivi. Penso che un primo passo - chiosa il vescovo di Coira - non sarà forse di aprire tutti gli archivi, ma che quando arriva una domanda per un caso concreto, su quel caso siano disposti ad aprire gli archivi".