Era il 12 dicembre 2021, notte inoltrata. Lei in ospedale, reduce da una brutale aggressione, in attesa della visita medica; lui a piede libero, rilasciato dopo la firma del verbale. “Non mi sono sentita protetta: mi sono detta «Com’è possibile? Lui può uscire dalla polizia, venire in ospedale o venirmi a cercare nei prossimi giorni?» E questo è successo nonostante gli agenti fossero arrivati sul posto ed avessero constatato con i propri occhi la situazione: nessuno ha fatto niente”. Queste sono le coraggiose parole di Joan Hartmann che, a quasi due anni dal terribile accaduto, ha deciso di raccontare a volto scoperto la propria esperienza in un’intervista esclusiva rilasciata ai microfoni della RSI.
Un racconto che vuole trasmettere la forza per reagire, per chiedere aiuto di fronte ad un’onta che continua a macchiare la civilissima Svizzera: la violenza domestica. Nel 2022, i reati legati alla brutalità in ambito famigliare sfioravano quasi i 20’000 casi (19’978). Facendo una media annuale, si tratta di oltre cinquanta casi al giorno.
Ma il dato più raccapricciante riguarda gli omicidi commessi nella sfera domestica che, nel 2022, rappresentano il 59,5% di tutti quelli registrati dalla polizia svizzera. Si parla di 25 omicidi, oltre la metà dei quali commessi in una relazione da attuali o ex partner.
Partner che spesso si presentano sotto le stesse spoglie con cui si è mostrato l’aggressore di Joan, suo ex ragazzo. “Inizialmente era l’uomo perfetto: quello che tutte le donne sognano”. Mille attenzioni, l’apertura della portiera, i regali inaspettati. Poi, all’improvviso, il sogno si tramuta in un incubo. “È oggi che succede? Quale sarà il suo sfogo?” Questo era l’adagio che accompagnava i pensieri di Joan ogni sera, tornando a casa. “Allo stesso tempo però, la sua manipolazione mi legava a quella situazione”.
Una volta ha cercato di strangolarmi perché non si è goduto la serata.
Ma la sera del 12 dicembre, all’autosilo Balestra di Lugano, si toglie la maschera, rivelando le tenebre che nasconde. “Gli ho chiesto di smetterla”, racconta Joan, “e lui mi ha riso in faccia: in quel momento ho avuto la conferma che avevo davanti un mostro”.
L’intervento delle forze dell’ordine non riesce però a soffocare le ansie e le paure, che ancora oggi tormentano la vittima. “Essendo lui non più in prigione, oggi ho paura di poterlo potenzialmente incontrare per strada”. E la promessa, da lui pronunciata in tribunale, di non più avvicinarsi a Joan, non basta. “Io e il mio avvocato ci siamo subito mobilitate per chiedere questo allontanamento e per il braccialetto elettronico” così da poter monitorare i suoi spostamenti. Ma la Procura non ha assecondato la domanda.
Una misura che avrebbe evitato altri spiacevoli episodi. Una volta “ci siamo trovati nello stesso bar. Non è stato bello: è stato come ritrovarsi di botto nuovamente nell’autosilo”. È questione di un attimo, e le emozioni emergono con forza: “Ho avuto paura a vederlo, ho cominciato a piangere, ad avere il respiro affannato”. “Da vittima avrei desiderato una tutela più concreta”.
L’uomo, l’anno scorso, è stato condannato a quattordici mesi da scontare, riconosciuto colpevole di reati di lesioni semplici, minaccia e vie di fatto. Ma dopo l’archiviazione del processo e dopo la sua scarcerazione Joan ha ancora “estrema difficoltà a passeggiare in centro”. L’ansia è opprimente. “È una paura che non puoi controllare, che ti pervade tutto il tempo” finché non si chiude fuori il mondo dalle portiere della propria macchina.
Il percorso per risollevarsi è difficile e tortuoso, “ma io spero che questa intervista riesca a trasmettere la forza per affrontarlo. Io so di non avere colpe, se non quella di aver dato amore ad una persona sbagliata”.