“È stato un caso di una brutalità terribile,” ricorda l’avvocato ed ex procuratore Paolo Bernasconi, che partecipò alle indagini sul tragico rapimento di Cristina Mazzotti, una giovane diciottenne sequestrata nel Comasco nel 1975 e tenuta prigioniera per 27 giorni in una buca dalle pareti di cemento. Nonostante il pagamento del riscatto di un miliardo e cinquanta milioni di lire, il corpo della ragazza fu ritrovato senza vita in una discarica a Galliate, due mesi dopo il sequestro.
Questa vicenda segnò profondamente la stagione dei sequestri a scopo estorsivo nel Nord Italia degli anni Settanta, un’epoca in cui la ‘ndrangheta era coinvolta in molti di questi crimini. Oggi, quasi 50 anni dopo, quattro uomini tra i 70 e gli 80 anni, legati alla mafia calabrese, sono sotto processo a Como, accusati di essere i sequestratori materiali e i mandanti del rapimento della giovane. Un caso che si collega anche al Ticino.
La svolta nelle indagini arrivò grazie a un contrabbandiere ticinese, coinvolto nel sequestro, che cambiò parte del riscatto – 56 milioni di lire – in una banca di Ponte Tresa. “La pista ticinese è stata fondamentale,” spiega Bernasconi, ricordando come, all’epoca, il reato di riciclaggio non esistesse ancora e il sistema bancario operasse con metodi più “artigianali” per risalire alla provenienza del denaro. Grazie a una soffiata, gli investigatori ticinesi riuscirono a identificare il contrabbandiere, che, messo sotto pressione, confessò il suo ruolo nel sequestro e rivelò la posizione del corpo di Cristina.
“La confessione ci permise di scoprire che era stato uno dei carcerieri e che conosceva l’esatta posizione di Cristina,” racconta Bernasconi. Le sue indicazioni portarono al ritrovamento del corpo della ragazza e contribuirono a chiudere, almeno in parte, una delle vicende più drammatiche di quegli anni.
Il caso Mazzotti non solo segnò la cronaca nera italiana, ma fu anche decisivo per l’introduzione della legge svizzera sul riciclaggio di denaro. Bernasconi ricorda come riuscì a spingere il Consiglio federale a creare una normativa ad hoc, nata proprio dalla consapevolezza delle falle del sistema giuridico dell’epoca. “Non chiamatela Lex Bernasconi,” conclude l’ex procuratore, “bisognerebbe chiamarla Lex Mazzotti o Lex Cristina”.