Dodici anni fa votavamo l’iniziativa per frenare la costruzione di abitazioni di vacanza, la cosiddetta lex weber. Oggi in Engadina se ne contano addirittura di più, vuol dire che qualcosa è andato storto e la penuria di alloggi accessibili è diventata il problema numero uno in valle. Appartamenti da affittare non se ne trovano. La giurista e deputata in Gran Consiglio Grigionese Franziska Preisig con il marito e i figli han fatto quattro traslochi in poco più di 10 anni, costretti ogni volta a lasciare l’appartamento perché rivenduto a prezzi insostenibili: “Non si trova niente di niente di niente! Niente che sia pagabile per una famiglia”, ha spiegato ai microfoni di Falò, “da Bever ci siamo spostati in Bassa Engadina ma anche lì la disdetta è arrivata dopo tre mesi, e così è stato per gli appartamenti a seguire, si vive sempre con l’ansia.”
La Lex Weber
La Lex Weber era stata pensata per proteggere i terreni dalla speculazione edilizia e si era deciso di mettere un limite alle abitazioni secondarie in ogni paese: non più del 20%. In Alta Engadina, dove tanti svizzeri e ticinesi acquistano redditizi appartamenti o case di vacanza, questo limite è ovunque ampiamente superato: pensiamo a Celerina, dove le case secondarie sono il 70%; oppure Pontresina, il 58%. Uno squilibrio che lascia tracce sul territorio e sulla vita dei nuclei. Oggi, pertanto, in questa regione di montagna non è più possibile costruire da zero nuovi alloggi turistici. Ma c’è un “però”: continua a essere possibile cambiare la destinazione delle vecchie case per residenti, quelle costruite prima dell’entrata in vigore della legge.
Ed è quello che sta succedendo a ritmo sempre più serrato.
A Pontresina la sindaca Nora Saratz Cazin ci porta a spasso per le vie del centro e fa la conta delle vecchie e attrattive case engadinesi che presto potrebbero finire in mano di benestanti turisti alla ricerca del bel posto in montagna e/o dell’ottimo investimento. Oggi sono abitate da persone anziane, i figli son lontani e spesso non hanno i mezzi per permettersela e per finanziare costosi lavori di ristrutturazione o ricostruzione. La vendita è dietro l’angolo e chi la compra e investe, per rientrare nei costi (o per speculazione), la affitterà o rivenderà a prezzi inaccessibili per la popolazione locale.
L’esempio della Chesa Faratscha
A Celerina c’è una casa che è diventata simbolo per la penuria di alloggi: la Chesa Faratscha. Un tempo di proprietà della Posta, poi di una Cassa pensioni, ospitava 22 appartamenti per famiglie. Due anni fa è stata venduta e il nuovo progetto si chiama “Tre soli” con sottotitolo “residenze secondarie di lusso ”: 14 appartamenti con prezzo “su richiesta”, ma non meno di 5 milioni di franchi. Le famiglie indigene sono dovuto uscire e non ci torneranno. Tutte raccontano di difficoltà immani a trovare un altro posto dove stare, solo cinque famiglie sono rimaste a Celerina o in Alta Engadina, la maggior parte ha lasciato la valle, chi in direzione della Svizzera interna, chi verso la Val Poschiavo.
E i villaggi, così, si spengono.
Il sindaco di Celerina Christian Brantschen ci spiega però che come Municipio c’era da poco da fare: la Chesa Faratscha è stata venduta sottobanco e ad un prezzo con il quale non avrebbero neppure potuto entrare in trattativa.
I prezzi
L’effetto sui prezzi di questa sostituzione di case primarie in case secondarie raggiunge livelli quasi inimmaginabili: “una casa che prima della lex weber costava per esempio mezzo milioni di franchi oggi arriva a costare 1 milione, un milione e mezzo di franchi, il doppio o addirittura il triplo”, ci dice l’architetto Riet Fanzun che ha costituito l’associazione “Anna Florin, per comün vifs”: è la prima a promuovere in Engadina abitazioni accessibili per residenti.
“Non bisogna confondere mele con caviale” ci dice da parte sua Markus Testa, di una delle più grosse imprese di costruzione in Alta Engadina. E mentre mostra con orgoglio recenti edificazioni a St. Moritz solo per residenti, snocciola anche le cifre: 9 mila franchi al metro quadrato in zona Bad, 42 mila franchi al metro quadra sulle pendici lussuose del Suvretta.
Le soluzioni?
E come se ne esce? Per l’associazione dell’architetto Riet Fanzun delle soluzioni sono possibili, regolando a livello comunale le leggi riferite alla ristrutturazione delle case vecchie: ogni volta che questo avviene, basta mettere delle quote minime che dovranno poi essere destinate obbligatoriamente a residenti. Per ora le ha introdotte Flims, in Engadina i comuni non ci sentono, in nome del diritto alla proprietà privata e in difesa dei propri abitanti proprietari.
Per il sindaco di Celerina, è meglio pensare a nuove costruzioni da destinare unicamente a residenti, e come comune si stanno impegnando in questa direzione, ma non è una via praticabile per tutti, perché non tutti i comuni hanno ancora terreni edificabili a disposizione e in ogni caso non sono soluzioni immediate.
L’abbandono della valle
Nel frattempo quindi la valle continua a perdere abitanti e manodopera. Basta l’esempio della comunità portoghese, un tempo la più numerosa in Engadina. Il suo presidente Daniel Cardoso, chef de service in un rinomato ristorante a St. Moritz, racconta della difficoltà crescente a trovare lavoratrici e lavoratori per far funzionare alberghi, locali, ma anche l’edilizia: “Negli ultimi anni sono stati di più quelli che sono rientrati in Portogallo, di quelli che sono venuti in Svizzera” ci dice “ e so di famiglie che sono andate ad abitare oltre la Val Poschiavo, ma anche fino in Italia a Chiavenna per poter trovare un luogo degno per abitare e vivere.”
Poschiavo
E così Poschiavo diventa “the place to be”: questa valle discosta sempre a rischio di spopolamento negli ultimi tempi vive un’altra storia: la popolazione non diminuisce, non è principalmente anziana e i progetti di sviluppo territoriale fanno da modello. Viene scelta da chi non può permettersi più l’Engadina, ma non solo e non soprattutto. Ci sono giovani che tornano a casa dopo gli studi per mettere in piedi delle realtà artigianali o per ridare vita ad un ristorante, nuovo punto di incontro per giovani e per attività culturali e sociali. C’è un ex delegato CICR e giudice che dopo aver fatto il giro del mondo si stabilisce in un palazzo bel époque ed apre le sue porte al pubblico dando avvio ad un cinema. C’è un dottore ticinese che sceglie di cambiare valle per contribuire ad un nuovo concetto di centro medico e ospedaliero a Poschiavo. E poi ci sono tutti gli altre che aiutano a creare una realtà vivace e coesa, una popolazione che si organizza attraverso iniziative culturali e sociali create dal basso.
Poschiavo, ma dove sono finiti tutti?
Falò 05.11.2024, 21:30