Il coronavirus sta iniziando a indebolire le imprese ticinesi. Un paio di mesi dopo il primo caso registrato nella metropoli cinese di Wuhan, chi collabora con la nazione asiatica si trova in difficoltà nell'esportare e nel comunicare sui progetti in corso.
Complicazioni che a termine sono certamente destinate a riflettersi sui tempi di lavoro e sul personale. Il caso della Mikron di Agno è esemplificativo della situazione, considerato che l’azienda ticinese ha molti macchinari da milioni di franchi finiti in stock che non è possibile consegnare ai clienti cinesi, oppure macchine già inviate in Cina ma finite in quarantena in qualche area di controllo in territorio cinese e perciò non ancora in mano a chi le aveva richieste.
Alla Mikron ci si è dovuti organizzare, inventandosi metodi alternativi per portare avanti i progetti, anche perché a volte una videoconferenza non è sufficiente per scambiare i dati necessari con i clienti. I progetti toccati sono una decina, pari a circa il 10% di quelli gestiti annualmente dall’azienda ticinese.
Come accennato non ci sono solo attrezzature ferme in Ticino, ma pure altrove e al momento per la società è difficile valutare l'impatto economico. Un impatto che è certamente delicato, visto che Mikron attraversa un periodo complesso: a novembre è stato introdotto il 15% di orario ridotto e qualche settimana dopo sono stati annunciati licenziamenti.