“Volevamo fare la nostra parte per cercare di rimediare un po’ alle brutture della guerra”. Gianluca Ugolini tiene le mani sul volante, lo sguardo abbraccia l’autostrada. Ne mancano, eccome, di chilometri. Quasi tremila da Biasca al fronte. Un viaggio lungo, la tappa a Kiev, poi a Dnipro ed eccoci a ridosso della prima linea. “Mi ha colpito la carenza d’acqua: la maggior dei problemi di queste persone è dovuta alla poca idratazione”, sono le parole di Giacomo Della Pietra tra le macerie di Lyman, nell’estremità orientale dell’Ucraina.
La guerra è là in fondo, oltre la ferrovia e i boschi. Qui si sentono i colpi. Se ne vedono i segni. Pochi chilometri dalle postazioni dei russi. E adesso in questo locale un po’ diroccato, i due paramedici ticinesi provano ad ascoltare decine di anziani in fila per farsi misurare la pressione arteriosa o chiedere un anti-dolorifico. Da mesi non vedono qualcuno che si prendesse cura di loro.
I due paramedici in Donbass mentre si preparano per la loro missione
Una goccia a Lyman
Dal Ticino, il direttore operativo di Tre Valli Soccorso e il capo intervento regionale hanno viaggiato fino in Ucraina proprio con questo obiettivo. “La nostra è una goccia nell’oceano. Cerchiamo soprattutto di ascoltare queste persone e mostrare loro che non sono soli”, aggiunge Ugolini mentre dispensa un abbraccio a signora che chiede lamenta dolori alla schiena.
I due volontari con l'ambulanza all'arrivo a Lyman
Sono soprattutto anziani, quelli rimasti a Lyman. Questa città è stata per sei mesi sotto occupazione russa. Liberata un anno fa, subisce tuttora l’aggressione di Mosca sotto forma di colpi di artiglieria. “L’85% degli edifici è danneggiato” mi dice il sindaco nel suo ufficio provvisorio. Alle finestre, i sacchi di sabbia. Una città quasi deserta. File di vetrine annerite in quello che era un piccolo centro commerciale. Di un edificio resta in piedi solo una facciata, come sul set di un vecchio film western in bianco e nero. Brandelli di case e di esistenze.
Donbass, un ponte crollato in direzione di Lyman
Anatoliy e la sua casa
Come quella di Anatoliy, ex-macchinista in una località dove la ferrovia era un cordone ombelicale col resto dell’Ucraina per persone e merci. Garantiva posti di lavoro e assicurava il trasporto del carbone dal Donbass. Oggi lui non è in coda per farsi visitare dai due paramedici arrivati qui dalla Svizzera. Lo incontro invece davanti a casa sua, un palazzone di quattro piani vergato da macchie scure, come pennellate di pece gettate su balconi e finestre. Un missile dei russi ha devastato un sacco di appartamenti rendendoli inagibili. E ha lasciando il suo alone nero di distruzione. “Non possiamo rientrare ancora a casa”. Sua moglie Katerina, un gattino e un cane che le gironzolano intorno, si vergogna quando le chiedo di mostrarci quell’appartamento comprato in cooperativa quasi mezzo secolo fa. Ci apre invece le porte della casa dei suoi vicini, al terzo piano. È un’istantanea del giorno dell’invasione russa: era il 26 maggio 2022. I russi entrarono, loro uscirono. Le due anime di un’Ucraina che non esiste più sono appiccicate su questo frigorifero: due magneti da Mosca e da Kryvyj Rih, la città-natale del presidente Zelensky.
Lyman, l'interno dell'appartamento accanto a quello del signor Anatoliy
La fabbrica della speranza
Prima del Donbass, l’itinerario di Ugolini e Della Pietra passa da Kiev. Nella capitale ucraina li riceve l’ambasciatore svizzero Félix Baumann. Che apre le porte della residenza diplomatica di sabato: “Cerchiamo di fare il possibile in qualsiasi momento, è importante accogliere questa delegazione umanitaria dal Ticino” dice il rappresentante del governo di Berna alla RSI.
Da lì, rotta verso il centro dell’Ucraina a Dnipro dove ha sede “Way to health”, l’associazione partner di Tre Valli Soccorso. Che è anche la destinataria finale dell’ambulanza. Grazie a un’intuizione di Ugolini, il veicolo ha trovato nuova vita nei territori di guerra dopo l’impiego per anni da parte dell’associazione “Sos” di Olgiate Comasco: “Inauguravano una nuova ambulanza…ho chiesto cosa ne facessero di questa”… ed eccola ora sulle strade dell’Ucraina.
Lyman, l'ambulanza portata dai volontari di Tre Valli Soccorso fino in Donbass
Lyman, anziani in attesa di essere visitati dai due paramedici ticinesi
Ma Dnipro è anche la città che accoglie un enorme numero di mutilati: soprattutto soldati ma anche civili. Sono oltre 15mila in tutto il paese solo nel primo anno di guerra, secondo le autorità. “Way to health” offre un percorso di riabilitazione, in partnership con un’azienda locale che produce le protesi. Una vera fabbrica che restituisce speranza a chi l’ha persa e ha perso un arto o il suo uso. Questa associazione proietta lo sguardo in avanti, verso l’uso di nuovi strumenti. Ha appena ottenuto l’autorizzazione all’uso di tecnologie della realtà virtuale nelle terapie riabilitative. La sosta nella capitale aveva permesso ai paramedici ticinesi di visitare una start-up che mette questi strumenti al servizio dei mutilati con sensori e occhiali speciali. “La riabilitazione virtuale diventa reale: attivando emozioni e motivazioni stimola anche il sistema dei neurotrasmettitori” spiega Andrei Matus nel laboratorio della “Advin”, alla periferia di Kiev. Giacomo Della Pietra si offre come cavia: indossa visori e fascette a polsi e caviglie, si muove lentamente. Sullo schermo scorrono le immagini che vedrà anche chi non ha più un braccio o una gamba: almeno virtualmente, si riesce di nuovo a sollevare un oggetto o calciare un pallone.
Dnipro, la fabbrica della speranza dove si costruiscono per protesi per i mutiliati
Camminare sulle proprie gambe
In attesa dell’applicazione concreta di queste tecnologie, per ora il giovane ex-soldato Oleksiy si affida ancora alla terapia tradizionale. È uno delle oltre 450 persone assistite in un anno nella piccola clinica di “Way to Health” a Dnipro. Con l’arto artificiale ora riesce a saltare la corda. E a camminare superando ostacoli. L’ostacolo principale, spesso, è quello psicologico, mi spiega Oleksiy a margine dell’incontro con gli operatori di Tre Valli Soccorso. Nel suo caso, a spezzare una gamba e la sua giovinezza è stato un colpo di mortaio sulla prima linea vicino a Zaporizhzhia, pochi mesi fa. Ora questo 23enne prova a forgiare il suo futuro. “Bisogna trovare nella propria testa – dice – il desiderio di guarire e di camminare sulle proprie gambe”. Tutte e due: quella persa e quella ritrovata.
Dnipro, Oleksiy, 23 anni, ex-soldato. Ha perso una gamba a causa di un colpo di mortaio.
Per riprendere la via di ritorno verso il Ticino, i paramedici svizzeri oltrepassano il fiume Dniepr. Si scorge il palazzone sventrato all’inizio dell’anno qui a Dnipro: 63 civili uccisi mentre dormivano, un missile di notte ha polverizzato nove piani. Lassù, una dispensa della cucina penzola ancora nel vuoto, mentre la app sul cellulare segnala l’ennesimo allarme aereo. Il viaggio finisce, la guerra continua.