Dall’inizio dell’inverno, in Svizzera, 15 persone sono morte a causa di valanghe (la metà tra venerdì e lunedì scorso). Dieci di loro stavano praticando sci fuori pista, mentre altri 5 si trovavano in zone escursionistiche. Il dato fa paura: in media in un anno sono venti le persone che perdono la vita a causa di slavine e mai come quest’anno la popolazione sembra voler sfuggire dall’isolamento causato dal covid-19 con ciaspole, pelli di foca o praticando il fuori pista.
Modem, la trasmissione di approfondimento dell’informazione radio RSI, ha quindi parlato con alcune persone sopravvissute a valanghe. Tra loro Fabio Marconi, vittima di una slavina in Valle Bedretto, che ha raccontato la sua esperienza a Renato Minoli.
“Era l’aprile del 2016", racconta nell'intervista. "Ho pianificato la gita. C’era pericolo di grado 2. Siamo più o meno esperti, andavamo spesso, dunque eravamo tranquilli. Ma salendo ho sentito il mio compagno che gridava. Ed in un attimo ero spinto in fondo al pendio. La valanga ci ha colpiti dall’alto. Mi sono sentito schiacciato. Avevo anche l’airbag, ma è stato tutto talmente veloce che non sono riuscito ad afferrare la maniglia che lo apre. E tra peso della neve, buio e rollare non sono mai riuscito ad aprirlo. Ad un certo punto però mi sono fermato. E per fortuna il mio compagno non è stato travolto ed è riuscito a seguire il percorso della valanga. E’ stato veloce. E quando la valanga ha rallentato è venuto a prendermi. Avevo la gamba rotta, ma molta adrenalina in corpo. A quel punto ci siamo spostati in una zona pianeggiante. E abbiamo chiamato la REGA che mi ha portato all’ospedale a Locarno”.
Da allora Marconi ha "rallentato con questo sport. Chi ha staccato la nostra valanga? Noi? Il gruppo sopra di noi? Ancora non è chiaro. Bisogna essere consapevoli del fatto che non si può prevedere tutto. Non uscire mai da soli. Avvisare sempre. E non fare escursioni a rischio”.