Ticino e Grigioni

La magia dei “lavec”: “Dalla bici alle pentole”

Viaggio in Valmalenco, dove a Lanzada un giovane, ex ciclista professionista fermato da un infortunio, ha trovato la sua strada nella lavorazione della pietra ollare

  • Ieri, 22:07

Alla riscoperta dei laveggiai

Il Quotidiano 22.08.2024, 19:00

Di: Quotidiano/RSI Info

Una dentro l’altra come matriosche, ricavate da un unico blocco lavorato al tornio. Sono i lavec della Valmalenco, in pietra ollare. Usati nell’antichità per conservare i cibi, oggi questi paioli assai costosi sono ricercati da chi ama cucinare in modo salutare. Durante le fasi di produzione non vengono infatti usati né smalti, né vernici.

A Chiesa in Valmalenco e a Lanzada, ai piedi dei massicci del Bernina e del Disgrazia la popolazione ha vissuto per secoli lavorando questa pietra. “A Chiesa c’erano cinquanta torni e almeno quaranta famiglie che lavoravano la pietra e che vivevano di questo vicino alle cave. La mia vita l’ho trascorsa tra le rocce verdi della Valmalenco” , racconta alla RSI Silvio Gaggi, 85 anni, appartenente a una famiglia che lavora la pietra ollare dal 1700.

Quella dei lavec è una lavorazione delicata. Lo era ieri, lo è oggi. I torni non sono più alimentati ad acqua, ma i ferri del mestiere sono quelli di sempre. Nicola Bagioli, classe 1995, è l’unico laveggiaio rimasto a Lanzada. Grazie ai canali social che cura la moglie Arianna, esporta i suoi manufatti in tutto il mondo. “Fino al 2019 ero un ciclista professionista e pensavo solamente a quello. Poi quell’anno prima del Giro d’Italia una macchina mi ha investito e da lì ho iniziato ad avere grossi problemi alla schiena. Dovevo trovarmi un altro lavoro, che mi piacesse e appassionasse. La mia famiglia per almeno cinque generazioni ha fatto il lavoro del laveggiaio”.

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