Errori e ritardi. Sono le falle ravvisate dalla Corte dei reclami penali (CRP) nell’inchiesta aperta due anni fa contro il “re dei ponteggi”, travolto dallo scandalo dei permessi falsi e tuttora in attesa di giudizio.
Le malversazioni emerse dalle indagini spinsero la procura ad apporre i sigilli alla Shfed di Camorino. Il problema è che, contrariamente a quanto previsto dal Codice di procedura penale, non venne allestito l’elenco dei beni sequestrati. L’unico inventario esistente è quello redatto, nel gennaio del 2018, dall’Ufficio fallimenti.
Un errore grave, che al momento del dissequestro di parte del materiale ha reso impossibile, de facto, la sua restituzione. Non solo: la decisione di mantenere il resto sotto sigillo non venne motivata; così come non lo furono tre sequestri disposti successivamente, in un paio di cantieri del Locarnese.
A ravvisare le inadempienze – come detto – la CRP, che ha parzialmente accolto i due reclami inoltrati dall’imprenditore kosovaro. La prima sentenza risale al giugno scorso; la seconda alla fine di febbraio.
La denegata giustizia, riconosciuta in tre circostanze, ha però il sapore della beffa. Nel frattempo, la Shfed è infatti fallita. Cosa che – sostiene il titolare – si sarebbe potuta evitare se gli inquirenti avessero svolto correttamente il loro compito. Con ogni probabilità il legale dell’uomo, Edy Meli, avvierà ora un’azione di risarcimento.
Inchiesta ponteggi, ritardi e lacune
Il Quotidiano 22.03.2019, 20:00