Il Gran Consiglio ticinese ha deciso mercoledì di obbligare le aziende idroelettriche ad aprire maggiormente le dighe, così da garantire il risanamento e il ripopolamento dei corsi d'acqua, sofferenti anche a causa dei cambiamenti climatici. La decisione -adottata con 57 voti contro 3 e 15 astenuti nelle file del PLR per il quale la competenza era governativa e non parlamentare- è nuova. Ma non è nuovo il tema dei deflussi minimi, di cui si parla da oltre 30 anni. Già nel 1975, ricorda il Consiglio di Stato in una nota diffusa nel pomeriggio, la Federazione di acquicoltura e pesca aveva lanciato un'iniziativa in seguito alla quale nel 1982 era stato adottato un primo provvedimento, rivelatosi però non sufficiente.
Per ridare vita ai principali corsi d'acqua del cantone
Dagli anni '90 era stata avviata tutta una serie di studi, un lavoro complesso sfociato nel messaggio governativo del 2018. La misura votata dal Parlamento concerne le tratte del fiume Ticino a valle di Rodi e Lavorgo, il Brenno da Olivone verso valle, la Bavona a valle di San Carlo, la tratta della Maggia tra Bignasco e Avegno e la Melezza a valle di Palagnedra. "Una scelta", scrive il Cantone, "ritenuta sostenibile sia a livello di produzione - tenuto conto che la perdita che ne deriva è limitata a circa il 4% – sia per le singole aziende interessate che saranno totalmente indennizzate nella misura del 65% dalla Confederazione e del 35% dal Cantone per la perdita di produzione e per gli adattamenti che si renderanno necessari".
La questione non è comunque chiusa, sono pendenti al Tribunale amministrativo due ricorsi delle aziende elettriche.
Officine e deflussi minimi in Parlamento
Il Quotidiano 20.02.2019, 20:00
La seduta integrale del Gran Consiglio ticinese del 20.02.2019
RSI Info 20.02.2019, 20:13