Ormai il conto alla rovescia è iniziato. Scandito da nuovi spot televisivi, dal moltiplicarsi di eventi e comizi, da nuovi attacchi e la consueta valanga di tweet. Si viaggia spediti verso il tre novembre, lo sprint lo si corre così. Confrontando quanto visto in questo strambo 2020 e la valanga di dati che sommerge la campagna elettorale a stelle e strisce.
Un occhio prudente ai sondaggi – Pennsylvania, Wisconsin e Michigan a Biden, il sempre profetico Ohio a Trump –, poi subito un veloce confronto con quelli di quattro anni fa – quando a Hillary Clinton veniva ancora dato oltre 71 possibilità su cento di sconfiggere il candidato newyorkese – per relativizzare la valanga di indagini demoscopiche e, infine, lo sguardo ritorna veloce all’agenda dei candidati. Rendersi conto del ritmo forsennato dei comizi del presidente: 25 in 12 stati nelle ultime due settimane, da quando è finita la sua convalescenza dopo il ricovero per il Covid-19. E ancora non si ferma. L’entusiasmo che si vede ai suoi comizi, senza distanziamento sociale e spesso senza mascherina, dopo quattro anni di questa anomala presidenza stupisce ancora.
Joe Biden, più parco, lascia siano soprattutto la candidata vice Kamala Harris e Barack Obama a battere gli stati in bilico. Eventi a numero chiuso quelli democratici, spesso drive-in, all’apparenza più freddi, anche se l’ex presidente pare aver rispolverato la carica del 2008 per toccare le corde dei democratici disillusi o nostalgici dell’era pre-Trump.
Un effetto di questa mobilitazione si vede. Il Paese sta già votando. Il numero di elettori che hanno optato per il voto anticipato è da record. Tutto lascia immaginare a una partecipazione da primato, anche se ormai il terreno di scontro si è ridotto a pochi stati. Sono sei in particolari gli Swing States su cui i candidati paiono concentrarsi. Ai tre che nel 2016 vennero decisi per un totale di 70mila voti (Michigan, Pennsylvania e Wisconsin), si aggiungono la solita Florida, la Carolina del Nord e l’Arizona che una sola volta negli ultimi 70 anni ha votato democratico. Ballano una novantina di grandi elettori, quelli decisivi nel sistema elettorale americano – basato sui collegi – per raggiungere la fatidica quota di 270, la maggioranza assoluta, indipendentemente dall’esito del voto popolare. Nessuno azzarda previsioni, anzi si ipotizzano gli scenari più incerti, ricorsi in tribunale, i riconteggi, l’appello alla Corte Suprema. Ma in cuor proprio ognuno sa, la notte del 3 novembre sarà più chiara la rotta che prenderà l’America.
Massimiliano Herber
Corrispondente RSI