Menzogne, frottole, bugie, bufale o, per usare l’anglicismo sempre più comune, fake news. Si possono chiamare in diversi modi, ma la sostanza non cambia: trattasi di notizie false, diffuse con lo scopo di plasmare l’opinione pubblica. La disinformazione è un arte vecchia di millenni ma, nell’èra della post-verità e dell’informazione fluida, Internet e social network in primis hanno dato nuova linfa all’arte di raccontare fanfaluche.
Non un profilo, ma dei profili
Quali sono dunque le caratteristiche di chi si prodiga in questa attività? “Più che un profilo bisogna tracciare dei profili”, ci spiega Michelangelo Coltelli, amministratore e fondatore di BUTAC – Bufale un tanto al chilo, sito concepito proprio con lo scopo di smascherare le notizie false e che ora conta 20'000 lettori al giorno a oltre 110'000 “like” su Facebook. “Ci sono quelli che raccontano storie false solo per divertimento, e fanno ridere anche me! Poi però ci sono tantissime bufale diffuse per interessi economici, per raccattare clienti, e infine ci sono quelle più subdole: le fake news politiche. Si tratta in questi casi non di vere e proprie bufale, ma di manipolazione della realtà: si prende una notizia vera e la si ‘colorisce’ in modo da portare acqua al proprio mulino e danneggiare l’avversario”.
Michelangelo Coltelli
Una speciale task force
Il lavoro, volontario (BUTAC non ha sponsor o sovvenzioni), di Michelangelo Coltelli lo ha portato a far parte, insieme al nostro Paolo Attivissimo (Il Disinformatico), David Puente (Davidpuente.it) e Walter Quattrociocchi del CSSLab dell’IMT di Lucca, di una speciale “task force” istituita dalla Camera dei deputati italiana per contrastare la diffamazione e la diffusione di falsità in rete. Quali sono dunque le armi per combattere questo fenomeno? E le fake news modificano veramente l’opinione dei lettori? Qual è la bufala più assurda su cui BUTAC è capitato? La risposta nell’intervista in cima all’articolo.
Ludovico Camposampiero